Poesie
Uno
Due
Tre
prima
seconda
terza
prima
seconda
SENZA TITOLO (di viaggio)
Nella frenesia del suo rumore
Avvolto ogni discorso,
Trascorre ogni silenzio.
Radiazione di fondo e stimolo
A mai credere vuoto il mondo.
​
Lesta panoramica di spazi
Come se non bastasse il tempo
Per conoscerli tutti:
Monito a non credere completo
Il catalogo dei luoghi visitati.
Non c’è modo di indagare
I segreti riposti,
Penetrar le finestre
Lontane e già passate.
Frutti mai assaggiati,
Genti mai conosciute:
Scoperte da cambiar la vita.
​
All’inverso corre questo TRENO
Perché si avventa oltre
L’inessenziale visto:
C’è un’idea di destino che non può aspettare.
DOPO IL TERREMOTO
Lasciatemi,
come gli stracci qui intorno,
ammonticchiata su me.
Non voglio placare la fame,
accettare il soccorso
che curi la nausea;
voglio che duri il disgusto
per la mia condizione.
Meglio il freddo a cui non c'è riparo;
permette che riverberi in me
quel tremare mortale,
che muova il capo
per negare ogni assenso all'ingiustizia.
Meglio se piove,
segnando di rughe il terreno;
che l'acqua non lavi le lacrime
ma le sparga su tutta la terra:
l'abbracci a dirle addio.
Voglio anch'io sciogliermi,
tornare alla casa perduta,
ai fantasmi che da stasera
verranno a trovarmi.
Lasciatemi ancora un poco
indugiar nei saluti,
ché tanto è doloroso
passar da una vita all'altra.
I giorni a venire e i loro soli,
nuove speranze di sopravvissuta,
vivo per ora come un tradimento.
POETA VECCHIO
Chiuso in un guscio di noce
Mi sentirei padrone di tutto
Se un battito che accelera
Non mi contasse i metri
Di poesie mai scritte
Che mi separano dal mare.
Concedo ai miei tempi l'attesa
Di versi di là da venire
Dispongo due dita di dubbi
Sul ciglio incurvato e rugoso
Come a forzarne l'uscita
Benedetta e gratifica.
Perché dovrebbe accorciarsi una strofa,
anche se l'ultima rimasta?
Lascerò che si faccia spazio
Anche in tempi non miei:
ogni sillaba giustificata
nel beneplacito altrui.
ATTESA
Pronta, sul bracciolo del divano,
a farsi avanti appena tu arrivi,
nel pomeriggio umbratile del mio
soggiorno sta la gatta affettuosa.
Nell'apparenza del suo star ferma,
lo spirito in azione, essa mi
suggerisce la sola utilità:
prepararsi a un incontro d'amore.
Mi fa struggere la povera mendica!
Fa' che non t'amino,
o li farai soffrire.
MARE A SERA
Uno
Potesse il mare
Placare il suono
Del giorno troppo stretto
Potesse il buio
Dare il silenzio
Al giorno rumoroso
Potesse l'acqua
Sciogliere il grumo
Nel giorno accumulato
Potessi un pianto
Onde annullarsi
Mischiare all'acqua salsa
Due
Spero che basti
Di fronte a scogli neri
Cogliere il vento
Dentro le mie narici
spero che scenda
nel golfo reso viola
e sia placato
del giorno il mio rumore
spero che torni
vero a questi occhi
il sogno vago
d'un giardino assolato
spero che s'apra
con chiavi mai avute
la porta a vetri
che cela i suoi tesori
spero che infine
non più fuggano i sogni
le mie mattine,
e s'aprano al mio cuore.
Tre
Sul mare amico
la luna saluta:
i sassi rispondono a scrosci.
AUTOBIOGRAFIA
All'epoca, non me ne accorsi;
musica di cui non mi curai
lasciò debole traccia in me:
ne vedi i segni mescolati agli altri.
Qualche ricognizione sorse,
di quando in quando, a flettere
un ciglio, un muscoletto in viso,
un'emozione fatta repertorio.
Ora tu godi, dài voraci morsi
alla scoperta ch'è per te recente:
tu trovi il nuovo dov'io vedo
la ruggine del tempo già deporsi.
Sento il tuo giudizio opporsi
al mio d'allora, al mio presente;
dei significati allora scorsi
altre versioni, in altre vesti offerte.
E tu ora fai strani discorsi
su brani che credevo di sapere;
se cerco di capirti
nuove parti di me riesco a vedere.
NOI DUE
Vorrei essere scrittore.
Trovare il tono per descrivere
la nostra consuetudine:
la spesa fatta insieme, il soccorso reciproco,
la lite subito spenta, l'abitudine a ridere.
Vorrei essere fotografo.
Cogliere inquadrature e farne icone.
Estrarre, da scene banali
un fotogramma eccellente, sguardi rivelatori,
gesti ben calibrati, il nostro vivere.
Vorrei essere poeta.
Conoscer parole vere
da mettere come a caso.
Ognuna che dica il mondo, richiami sentimenti,
convinca del nostro affetto, descriva l'incedere.
Ma sono io che vivo.
Ogni tanto ci guardo:
te da qualche parte e io da un'altra
o intenti al comune che fare.
La mia forma d'arte e la tua la nostra epica;
bellezza in corso d'opera, capolavoro incompiuto.
​
Vorrei completare la storia
che la natura narri, la luce diffonda, i fatti proclamino.
I MIEI CHAKRA
Marte, febbricitante ed arso
Venere struggente di passione
Sole, dona luce e sostanza
Terra, di ossigeno accogliente
Luna silente, Nettuno distante
Polaris, piccola e sicura
Galassia, di luce circonfusa
Radiazione di fondo, nido sparso,
Cambriano dell'universo.
AUTOBIOGRAFIA 2
Per ogni suono scopro,
una nota per volta,
la mia rete nervosa.
Guardo il tuo viso a dirmi,
un gesto alla volta,
quel che ne pensi.
Mentre ascoltiamo cresco,
nel mio capirti,
altra parte di me:
di qui è passata un'ombra;
nell'ascoltarla
ho mutato opinione.
Ora tutto risuona
di strumenti nuovi:
come ho potuto non sentirli prima?
VENTO FORTE IN CITTÀ
Da dove arrivi, tanto urgente,
Cosa ci porti, che non sia pattume?
Cresci come a punire
Ogni cosa che incontri.
Nelle strade t'ingolfi
Spazzi pilastri e tetti
Fremono gli stipiti, sbanda la gente
Che t'ha sfidato uscendo.
Viene voglia di respirare forte
Portare il tuo sconquasso nei polmoni;
Sembra potersi ripulir così
L'aria nostra malsana, dentro e fuori.
Se non temessi aspre conseguenze
M'aprirei volentieri al tuo vigore
Getterei pari grida sconnesse
A dirti mio fratello:
"Come te vivo disordinato
Senza mete che non siano distratte
Da bisogni ulteriori, voglie fatue
Soddisfatte e subito scordate."
Ma vento nuovo ho conosciuto altrove:
Ne spero la costanza
Di quando spirerà dalle mie parti
Dandomi precisione.
Quel giorno mi farò due ali,
L’oscuro fuggirò aquilone
E nel cielo ripulito pulirò,
Dentro e fuori, l'anima mia malata.
IL LIMITE
Il limite
A ricordarmi di che sono
Mi sbalza all'aldilà di ciò che vedo.
Il confine
Di consuetudini incomprese
Pieno d'estraneità mi si rivela.
La paura
Che mi si possa sgretolare
L'effimera unità di me persona,
L'abbraccio
Di me con la realtà
Rende precario.
A tavola
Bastò l'arancia di mio padre
Per dirmi che si può forare il cielo.
Mi curo
Di custodire in ciò
La mia speranza.
PORTE APERTE
Si vede un ambiente, si valuta il mobilio, forse si scorge un moto...
Poi la porta si chiude sulle domande a venire.
Altre si aprono su panorami nuovi
E promesse non mantenute di ingressi altrui,
o tue uscite.
Ogni volta sorpresa,
La persona nel mezzo
Non sa girarsi anticipando il futuro
Né, prima che passi, tuffarvisi.
IL MARE
Che se lo guardi t'annega,
Che se lo fuggi ti chiama,
Che se l'annusi ti piace,
Se stai vicino ti copre.
Sempre pieno all'eccesso
Quando non violentato;
Sempre accogliente e fecondo
Quando non assassino.
Moto infinito,
Presenza immobile
Su mappe di storie umane
Che pure vi si consumano.
BLUES
Sensi d'altrove
D'altrui patimenti,
Storie comprese
Ma non condivise.
Urgenza di viaggi:
Ché questo m'impone
La ruota del ritmo
Perenne e continuo.
Racconti di lingua straniera
Di suoni che posso piegare
Ai miei significati.
LASCIAMI PER UN'ORA
Lasciami per un'ora rincorrere quei sogni,
Anche se trasformati nel marmo dei ricordi;
Lasciami come bimbo che insegua dei piccioni
Prima che ognuno vada sbriciolato volando.
Coglimi tutti i fiori dispersi sul tappeto,
Fammene grembo allegro pur se colto d'impaccio;
Apri quelle finestre di zucchero filato,
chiama il mio panorama un'altra volta alla vita.
Apriti, fantasia, come sognavi i giorni
In cui, presenza e cibo, m'indurivi le ossa;
S'apra il cuore, e non tema d'essere sparsa invano
Quella goccia di miele che il desiderio spreme.
Dammi un solo respiro, premio alle molte fiabe
Da un ingenuo tessute a corredo di altre;
Possa sapere vinta nell'attimo la guerra
Di vittorie presunte e di battaglie perse.
Voglio innalzare estatico il vessillo dei sogni,
voglio più in alto porre la mia bandiera azzurra
un altro cielo aprire e nuove terre scorte
finger di possedere, a vanto incauto e lieto.
UN GIACIGLIO
Un giaciglio,
Un viaggiare tranquillo:
Questo tu sei.
Il mio presente,
poche cose necessarie,
e tu a farne tesori.
La nudità
Che ci fa prossimi
Senza il bisogno di maschere.
Sospiro di sollievo
Se penso a quanto è facile, per noi,
Essere vivi e amare.
SEMBRA CHE UN CUORE
Sembra che un cuore batta
ma passi, sono, alla morte
di chi, passando, coglie,
dai rovi, le sue more.
Quale, la storia vera?
"Abbatté più d'un muro",
"Inseguì una chimera",
"Divorato da un lupo".
I fatti accumulati
son gusci da capire:
dei gusti assaporati
nessuno sa parlare.
Dimmi cos'hai raccolto:
"Sassi pieni di fango",
"Preziose statue d'oro",
"Storie dal gusto amaro".
La via del paradiso
e quella dell'inferno
separate, alla fine,
da uno sguardo diverso.
MEGLIO SAREBBE STATO
​
prima
Meglio sarebbe stato non averti
Che perderti senz'averti capita,
Soltanto tardi avere gli occhi aperti
Non dalla tua visione
Ma perché sei sparita.
Quando un rumore finalmente cessa
Così t'accorgi del disagio andato;
Gode di libertà l'orecchia oppressa
Mentre riprende l'uso
Del senso affaticato.
Sorge, al contrario, una delusione
Se un bene s'interrompe sul più bello
Come quando si sente una canzone
E proprio mentre godi
Si ferma il ritornello.
Ma molto più risulta cosa amara
La vista di quel bene che hai sognato
Passare oltre; già lontana e rara
La gioia allontanarsi
D'un gioco mai giocato.
Resta così l'inutile silenzio:
Far la rassegna e mettere a confronto
Il miele mai gustato e quest'assenzio.
seconda
Meglio sarebbe stato non averti,
Sognar d'avere, ma ignorare cosa;
Attenderti
Come necessità non conosciuta;
Condir quanto mi resta
D'un bene inavvertito.
Meglio di questo stremo
Inutilmente di ricordi pieno.
Rimpiangere
D'aver avuto senza mai godere
La gioia non provata,
Che non seppi tenere.
terza
Meglio sarebbe stato non averti:
Quando tu c'eri, io non t'ho mai capito;
Ora che non ci sei, conto il perduto.
25 APRILE
​
Bello, un fiorire, è sempre:
Promessa di frutti.
Sembra nella natura delle cose
Che la Liberazione
Al colmo venga della primavera.
Semi di speranza
Irrorati di sangue
A combattere il nero di una notte
Morti ma presenti ai muri delle case
Sui lampioni e presso le strade.
Chi vi guarda oggi
Mentre rincorre altro
Trovi il tempo di pensare al sole
Sempre minacciato
Da eclissi di guerra.
LA CREAZIONE DI MONDI
prima
Quella che vedo non è la verità:
La "donna dagli occhi tristi"
Non necessariamente è triste.
Ho imposto un'emozione a me soltanto,
Un mondo immaginato
Che l'esistenza trae
Da possibilità non dimostrate.
seconda
Donna che hai seminato,
Per la tua sola presenza,
Spunti di storie nuove
Che io ed altri cogliamo
Passi oltre e non cogli
La mole dell'esperienza
Di cui per te godiamo.
Triste, nevvero?
UNA FRECCIA VELOCE
Una freccia veloce
Qui nel mio cielo passa;
La Luna parimenti
Bianca, pian piano cresce
Come Sole comanda.
Sale sopra quei ciuffi
D'alberi, a contorno
D'un prato che l'estate ha un po' seccato.
Al fondo, la costanza
Di motori che vanno,
L'impegno degli umani a ricordare.
Tutto è silenzio, sotto quei rumori:
Sotto strade che immagino affollate;
Sotto un sacchetto appeso
Esposto al venticello,
Esso pure silente;
Sotto l'ulivo, fitto
Di rami che la luce
Ritorce; sotto voci
Care, laggiù dove il fico fa frutti.
Silente l'aereo
Che umani in alto porta;
Da millenni si tace
La Luna che silenzio
Insieme dà e pretende.
Io solo, raccogliendo
Tutto questo vivere,
Sento il frastuono dei significati?
Vorrei farmi silenzio
Per somigliare all'altro
Che mi giunge dal mondo;
Lasciar tutte le voci decantare.
Ma dentro me cospira
Ogni richiamo esterno:
Come strumento deve,
Risuona l'universo ed io con esso.
Resto nel mio rumore
In compagnia beata:
Centro e periferia
D'un paradiso vasto,
Coro che canta in pace
E le paure sembra allontanare.
L'ULTIMA SBRONZA
La concezione di sogno immacolato
dentro le spire d'un disegno erratico
che macchie porta nel mio programma errato
di trovare parola che spieghi
il lembo perso d'un mistero esotico
capace del mio peso,
greve di un mondo perso
nella mia crescenza.
E se d'ogni palpito non do ragione,
offro, libame incapace d'essere,
quanto rivolto ad eterno conoscere,
sì che tutto si renda consapevole
nell'essere altrui.
Posso sfiorar la guancia,
immota di sapere,
di vergine con me giunta a contemplare,
solo per sua bellezza degno;
inani le celebrazioni delfiche,
nel convertire altrui a ricongiungere
desueti fonemi a incognite stagioni
di plebe non capita.
Ma tutto è grazia.
LA VECCHIA
Qualche barattolo aperto,
in cucina;
un vestito che attende, pronto
sul nulla.
La posizione di un lume,
curata,
per riflettere al meglio
strategie consumate.
Ritmi di storie ed oggetti
al tempo zero;
dimestichezze e consuetudini
decantate per sempre.
Tracce per sempre mute
di una vita che fu;
sciarada irrisolvibile
di moti spenti.
FERIALITÀ DELLA CREAZIONE
Lo scienziato che illustra
Particelle sfuggenti
Suscita risonanze
Coerenti col suo mondo.
Per quanto ci si scruti
Nel sentire profondo
Non si trova nient'altro
Che splendore d'umani.
Il miracolo è altrove,
mai raggiunto:
questo è miracoloso!
SCORIE
Affagottati così, manco fossero
stracci!
Per me non è straccio quel giubbino.
La stoffa lisa me lo rendeva caro:
ridava, dell'uomo che sei, il bambino.
Giace, lì pure, un bottone malconcio:
per anni ha servito.
Ci crederesti? C'è una storia con lui,
su chi l'ha cucito.
Troppa materia s'accumula,
e si continua a buttarne
gettando reliquie con essa.
Contemplo le scorie prodotte:
sembianti di storie interrotte;
la forma di strade passate.
POMERIGGIO
L'acqua del tè che già bolle,
s'interrompe il litigio.
Distratto verso le foglie,
non rilascio il cipiglio:
abbiamo troppo creduto
per accettare veti;
troppo s'è visto passare
per passare su tutto!
Ma prendi la tazza con grazia,
bevi e mi guardi bere;
io scaldo le mani col tè,
gli occhi di te. E taccio.
Vani filosofi, siamo,
se un breve calore esterno
ricompone i dissidi!
ALL'IGNOTO CANTAUTORE
Finché ci saranno persone a cui tirare sampietrini
ci saranno persone a tirare sampietrini;
finché ci saranno persone,
ci saranno persone a tirare.
E se non ci saranno più persone,
i sampietrini si tireranno da sé, per abitudine.
Finché ci saranno persone che erigono statue
ci saranno persone che abbattono statue;
finché ci saranno persone,
si faranno statue da abbattere.
E se non ci saranno più persone,
solo le statue resteranno, mute.
Finché ci saranno persone a minacciare
ci saranno persone a minacciare i minacciatori;
finché ci saranno persone,
si parlerà di minacce.
E se non ci saranno più persone,
resteranno i segni di tutte le minacce.
Quando avremo tirato tutti i sampietrini,
dovremo ricostruire le strade;
quando non si faranno più statue,
non ci resterà che guardare in faccia le persone.
Quando le minacce non faranno più paura,
allora si vedrà chi ha più coraggio.
OFFERTA
Ti gualcirò le membra, incauto e folle
e tu, per il resto del giorno,
rassetterai le vesti, sorridendo.
Sguardo birbante leverai pensando
alla mia furia disarticolata
che cerca dentro te rifugio forte.
Lasciami, dopo, alla mia deriva;
lasciami ora, oh lasciami!,
come marea paurosa, avvicinarmi a te:
che mi s'infranga l'aire contro i tuoi occhi accesi;
che si consumi il vigore alla tua quieta passione,
come di monte sovrano.
Al giorno che viene accorda
il tuo pudore sorpreso, l'onda
austera dei fianchi, il passo nobile;
dona a quest'alba insicura
grida invece, e sospiri
come di beneplacito
al pianto che, senza merito,
un miracolo implora
dalle tue sopracciglia.
INVENTARIO
Che vale il ricordo?
Solo ricordo il passato
Che ricordando non torna.
Quello che non è più,
non mi curai di cogliere
perché quell'oggi mi pareva eterno.
Non ricchezza lo scrigno fra tanti,
non reliquia l'oggetto comune;
pezzo raro non ebbi a salvare.
Resta un rammarico sordo contro me,
per la preparazione improvvida del sacco,
scorta del mio viaggio lungo il tempo.
Ritroverebbe vita un riso antico,
Risorgerebbe un rudere negletto,
se da miglior dettaglio rivestito?
Rievocare fantasmi, un fratto
discorso riallacciare,
riporterebbe carne a questi muri?
Vana fatica il passato,
col nuovo giorno che bussa,
di vergine foggia.
RUPPE I BICCHIERI DEL CONVITO
Ruppe i bicchieri del convito, furente,
se ne partì per una nuova vicenda.
Tutti furono stupiti, da copione,
senza saper che un copione esistesse:
quello chiaro all'uomo che, forte, esplose
tacito rifiuto colmo di parole.
La scena restò, nella mente d'ognuno,
dipinta: memoria al furibondo andare.
Troppo duro il cammino, senza un ritorno,
la strada egli arrancò, sempre in salita,
le occasioni mancanti come una guerra,
cruda vendetta del Normale sul Genio.
Al vento gettò ciascuno quei discorsi
che non fûr detti prima, né ripensati,
tali da fermarlo, ma che nessuno osò:
ch'egli voleva e, non avendoli, fuggì.
Accento restò nelle vite di ognuno,
d'un meglio possibil, che non fu saputo;
proteste avventate gettò egli ovunque,
per il disagio di non trovata pace.
Scesero sere difformi, un sol rimpianto;
unica perdita in due modi vissuta:
l'equivoco di un tempo che non gli bastò,
l'esausto affanno di lunga attesa vana.
NULLA
Nel crollo di me
come mi credevo,
mentre vibrano ancora le rovine,
s'organizza quel chiasso
a formare parole
di quel nulla che resta:
agitarsi di stimoli,
come se un nulla non restasse mai.
Senso, ché pure un senso permane, d'inutilità
di questo nulla che sono, e nel contempo
sentir che sono.
Giunto come alla fine dell'essere
trovo le sue radici:
principio sia!
Quanto più perso nel nulla, tanto più risospinto,
da questo ribollire che mi annega,
a vivere.
Crollo di significati ormai vetusti,
proposte d'altri
che mio malgrado s'offrono.
Speranza che il nulla non sia, com'è filosofia;
non sia che impercepito inizio, per me,
d'altra mia vita.
CANZONE
Ballo,
sfrenato e un po' discorde,
sopra le pietre antiche di chi ero.
Scialo
di quanto già goduto,
come non fosse godimento vero.
Canto
immemore di pianti
per questa solitudine ispirata.
Pianto
nell'animo i sospiri
che per l'amore altrui feci poesie.
Come non fosse stata grave cosa, rigetto le passate ipocrisie,
le vuote vanità, i falsi successi, che furono la gioia mia sprecata.
Poche
le cose trattenute,
simile ad una fuga il mio viaggio;
come
se tutto l'avvenire
portasse solo doni al mio passaggio.
Dove,
davvero non m'importa,
di mettere al sicuro le mie cose,
onde,
quei giorni di tempesta,
vuotano d'ogni forza le emozioni.
Fingo che non sia stata mia la colpa, di troppe mie mancate costruzioni
e colgo ancora fiori tutt'intorno, sperando aver mattoni dalle rose.
Sesta
di cinque sensi noti,
la mia speranza che non cerca prove.
Certa
ricchezza immeritata,
per chi di povertà vuole vantarsi.
Lieto mi faccio verso un avvenire che non può darmi più che quel suo darsi;
colgo poche vittorie, mentre spero sogni più belli fare, e gioie nuove.
NEVE
T'hanno a lungo sentita e non venivi;
ora sei qui: coltre, ovatta, quant'altro.
Leviti i nostri passi, sul tuo molle spessore, e vedo
un poco oltre la siepe, quel giardino,
che anche dopo il disgelo penserò ricoperto.
Rendi più cupi i suoni, più dolce il sostare
dietro le tende, guardando e sentendosi sognare
a credere che tutto sia così, quietato,
senza calamità o disagio:
solo un restare placido,
sbuffare, lieti per lo scampato freddo,
godendo meglio il calore di un sorriso amato
sotto quel viso bianco di gelo,
come bianco è il tuo gelo.
Istante d'un sereno eterno quale tu sembri,
labile peso sopra le strade nostre,
che sembri per l'eternità fissare.
INCONTRO
Tu, Umano,
trovato per un attimo,
fugace tocco delle dita sconosciute
che pure, per un attimo, sono state amiche.
Tu, Umano,
luce per un momento accesa nei miei sogni,
sentimento che sì, qualcosa palpita
oltre l'orizzonte dei pensieri.
Tu, Umano,
uomo o donna:
vecchio, che dia speranza al mio futuro
o giovane, che dia sollievo al mio passato
col fulgore del suo.
Tu, Umano,
sentimento gettato, quasi uno spreco,
a farmi dire che qualcosa s'agita, vivo,
di tra le nebbie di materia inerte.
Parola di getto spesa, sorriso volentieri reso;
comunità di pensieri, svago comune.
Tu, Umano,
al quale far sentire l'infinito;
Umano che con me veda le stelle,
da quella nostra
all'ultima galassia conosciuta
e poi ritorno.
Umano che mi dici me, così diverso;
così uguale a questi sogni miei,
tanto dissimile nel modo di sognarli.
Umano che mi vedi com'io vedo;
specchio in cui rincorrere il mio viso
per ritrovarvi il tuo.
Occhio di luce, cuore di fuoco.
Che non si resti a lungo appiccicati,
non tu, non io siamo lo scopo,
della reciproca, commossa somiglianza.
Tu, Umano,
sei scopo; tutto tu sei.
L'Umano che domani troverò.
Tu, Umano,
ragione, un giorno, per non voler morire:
perché, quando hai visto gli Umani,
che mai di tremendo puoi soffrire?
Tu, Umano,
scopo dei cieli.
Tu, Umano,
miseria che si sa riscatteremo.
Umano,
non fermarti,
non cedere al flusso degli eventi;
non scioglierti.
Umano, non finire.
Che non si perda quanto ho visto, resta
ché io ricordi.
Fugace tocco, presto lasciata unione,
sùbita comunione: dura in eterno.
ACQUA
Acqua, per carità: dell'acqua.
Quella che scorre, come non so fare,
quella che va laggiù, all'altrove
che non so trovare.
Acqua per annegare.
Lasciarmi nel suo moto sommergere,
che porti me, io che non so portarmi,
là dove non so andare.
Io ne potrei morire, d'abbandono,
di quiete d'altro che non sono.
Potrei scordarmi il respiro, inadeguato comunque,
in un respiro ampio come un mare.
Riposare,
io che non fatico,
delle fatiche altrui,
quelle che vedo,
quelle di chi non sa quello che so, che spero.
Trovare un mare
che non sia
pieno dei corpi
di futili annegati?
Che noia, la troppa carne marcescente;
molle più della mia,
che meno della mia ormai si muove.
Moto che solo all'acqua sia concesso,
di portarli tutti chissà dove.
Noia, anche, sentirmi come i tanti
che prima, e dopo, e pur durante
di riposare voglia hanno sentito.
Non ti disturba, o stanco, l'esser di nuovo simile alla folla,
tu che da tante folle sei fuggito?
La folla degli esausti, questa volta,
dopo la turba degl'illusi,
la tribù dei sicuri,
il branco degli esitanti.
Se fiume della vita
l'han chiamato,
ci sarà pur ragione:
non l'acqua di sotto, imputridita;
non quella dai cieli, che non mi ha mai bagnato,
in terra non trovando paragone;
l'acqua di noi, fiacchi talvolta, sempre vivi,
che fluisce nel mondo, chissà come,
portandoci là dove non sappiamo,
siamo proprio noi.
Siamo quest'acqua, né altra serve
a dilavare il fango, le scorie, il fare tardi.
Ti prego portami, acqua, verso il mare.
Portami verso il futuro,
a riposare da un presente oscuro,
in un domani senza più ricordi.
Che un ricordo non serva per sentirmi vivo,
che la mia vita al mare altre ne porti,
in qualche modo.
Goccia fra gocce, alito, speranza.
La mia grandezza al mare giunga
e là s'espanda.
VORREI FOTOGRAFARTI
10.11.91
Vorrei fotografarti, o mondo,
quale ti percepisco.
Con quel tramonto rosa, e più in là altri colori,
mentre una virgola si è levata
a mia insaputa
e mi spunta di fronte all'improvviso.
Fotografarti per guardarti ancora,
o mondo, in un'ora
di migliori sentimenti,
sì che la tua bellezza
non mi vada perduta.
Tenerti con me, in una tasca,
una foto cara
che ogni tanto si rimira,
una preziosa luce in una vita,
a ricordar che ogni tanto, sì, anch'io vissi di luce.
Fotografarti per portarti in giro, o mondo,
e mostrare per tuo mezzo tutto il sogno
che abbia mai sognato.
Fotografare te, o mondo?
O non piuttosto quello che vuol dirmi,
questa luce serena, questo colore angelico?
E quale macchina userò
per dare parola alle tue luci?
E quale tra gl'infiniti istanti
potrei fermare, e dire:
"È questo, quel momento prezioso!"
O non forse il successivo? O il precedente?
Ora che la virgola è salita,
o prima, quando me ne accorsi?
Ora che il rosa s'è allargato,
o quando mi chiamò?
Vorrei fotografarti, o mondo,
nell'attesa di quel giorno
o, come questa sera, quella sera,
in cui la tua bellezza
all'improvviso
mi apparirà più chiara.
15.2.92
Non voglio più fotografarti,
non credo più
che tu sia prezioso, o cielo.
Tanti altri cieli vedrò,
altre sere mi coglieranno stupito
a contemplarti.
Altre nuvole faranno gare
di forme e di colori
per mio svago.
Come un ricco non si cura di un soldino,
come presso una fontana
non si fanno scorte d'acqua,
così non temo di perdere nulla della mia ricchezza.
Sempre avrò meraviglia, sempre gusterò
lo spettacolo d'esser vivo,
fintanto che vivrò.
Smetterò di guardarti, o cielo? No davvero.
Continuerò nel solitario godimento,
beandomi del mio compiacimento.
Pago ma non sazio di bellezza,
ogni sera vorrò ricapitolare
la serie e l'estensione degli azzurri, dei violetti.
Originale ricchezza, ricchezza completa,
quella che gode di ogni chicco d'un granaio immenso,
non temendo perdite, ma non perdendo occasione.
Come un ricco che gioisca di un soldino guadagnato;
come chi, presso una fonte, lieto sia d'ogni goccia.
TU VIVRAI
Tu vivrai.
Fino a che sentirai tutto il peso dei secoli
gravarti silenzioso addosso.
Quando tutto il polverìo dei millenni
t'avrà ricoperto,
ancora vivrai.
E ogni luce ed ogni sguardo
ripetuti mille volte
nell'infinita memoria dei tempi
tu vedrai.
E la tua mente passerà di vita in vita
e tu, che stenderai le membra
nell'impossibile rincorsa ad ogni idea
per ciò vivrai.
Vivrai per patire la sete
per sentire il cuore farsi greve.
Nell'arido di pensieri sfuggenti,
di sogni frantumati in sabbia
nell'entusiasmo multicolore dei progetti
nella gioia di un arrivo o nella rabbia
tu vivrai.
Finché non avrai conosciuto ogni tuo osso
ed ogni nervo non avrai provato
tu vivrai.
E sentirai.
Sentirai mille risa
e mille e mille pianti;
la terra sotto i piedi e il cielo in testa.
E finché ogni tuo brandello non sia sparso,
le unghie di belve farti a pezzi
e, fino a consunzione d'ogni forza,
forti sentimenti e forti ire.
Finché un pensiero riempirà la testa,
peso di grosse macine a schiacciarlo.
E quanto tu vorrai morire
altrettanto vivrai;
quello che non vorrai sentire
sperimenterai.
Farai l'amore con la dea Afrodite,
suonerai con il flauto di Pan.
Darai sospiri nuovi a nuove vite,
corpo a fantasmi e anima alle cose.
Sarà forse una nota stonata,
forse un'idea che non si concretizza,
forse la stanchezza accumulata
o rime che non vogliono baciarsi,
Così passerai da sogno a vita
finirai l'attesa e troverai gli incontri.
Quando dirai "ancora, ancora",
allora si fermerà ogni storia ed ogni luce.
Non prima d'aver amato tutto
potrai a tutto dire addio;
e sarai polverìo di millenni
che carezza dolcemente l'altrui vita.
IL MARE D'INVERNO
Pochi gabbiani sfiorano
nel volo, l'acqua di vetro,
il tempo immobile.
Nuvole intense portano,
sotto il brusio di chi passa,
un suono d'assenza.
Le coste, decolorate
in un presepe anelante,
attendono sole.
SOLE
Bello, un pensiero solo!
Un pensar come sole
che solitario splende.
E niente illumina.
Bello, un pianeta solo,
non è, perché non vive.
Senza pianeta
che prenda il sole e viva,
non serve luce;
senza persona viva,
nessun pensiero vale.
HO VISTO GLI AEREI VOLARE
Ho visto gli aerei volare,
posti fra cielo e terra,
onde più alto facevano sembrare
il primo a noi secondi.
Ma lo sguardo, incapace di soste
da loro andava alle nubi che, sfrangiate,
più vogliose parevano di quelli
avere un moto, e ferme stavano.
Rigide strutture in corsa,
labili forme immote
sensi contrari affollati
sullo schermo del cielo.