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Senza titolo
Dopo il terremoto

SENZA TITOLO (di viaggio)

 

Nella frenesia del suo rumore

Avvolto ogni discorso,

Trascorre ogni silenzio.

Radiazione di fondo e stimolo

A mai credere vuoto il mondo.

​

Lesta panoramica di spazi

Come se non bastasse il tempo

Per conoscerli tutti:

Monito a non credere completo

Il catalogo dei luoghi visitati.

 

Non c’è modo di indagare

I segreti riposti,

Penetrar le finestre

Lontane e già passate.

Frutti mai assaggiati,

Genti mai conosciute:

Scoperte da cambiar la vita.

​

All’inverso corre questo TRENO

Perché si avventa oltre

L’inessenziale visto:

C’è un’idea di destino che non può aspettare.

DOPO IL TERREMOTO

 

Lasciatemi,

come gli stracci qui intorno,

ammonticchiata su me.

Non voglio placare la fame,

accettare il soccorso

che curi la nausea;

voglio che duri il disgusto

per la mia condizione.

Meglio il freddo a cui non c'è riparo;

permette che riverberi in me

quel tremare mortale,

che muova il capo

per negare ogni assenso all'ingiustizia.

Meglio se piove,

segnando di rughe il terreno;

che l'acqua non lavi le lacrime

ma le sparga su tutta la terra:

l'abbracci a dirle addio.

Voglio anch'io sciogliermi,

tornare alla casa perduta,

ai fantasmi che da stasera

verranno a trovarmi.

Lasciatemi ancora un poco

indugiar nei saluti,

ché tanto è doloroso

passar da una vita all'altra.

 

I giorni a venire e i loro soli,

nuove speranze di sopravvissuta,

vivo per ora come un tradimento.

POETA VECCHIO

 

Chiuso in un guscio di noce

Mi sentirei padrone di tutto

Se un battito che accelera

Non mi contasse i metri

Di poesie mai scritte

Che mi separano dal mare.

 

Concedo ai miei tempi l'attesa

Di versi di là da venire

Dispongo due dita di dubbi

Sul ciglio incurvato e rugoso

Come a forzarne l'uscita

Benedetta e gratifica.

 

Perché dovrebbe accorciarsi una strofa,

anche se l'ultima rimasta?

Lascerò che si faccia spazio

Anche in tempi non miei:

ogni sillaba giustificata

nel beneplacito altrui.

ATTESA

 

Pronta, sul bracciolo del divano,

a farsi avanti appena tu arrivi,

nel pomeriggio umbratile del mio

soggiorno sta la gatta affettuosa.

 

Nell'apparenza del suo star ferma,

lo spirito in azione, essa mi

suggerisce la sola utilità:

prepararsi a un incontro d'amore.

 

Mi fa struggere la povera mendica!

Fa' che non t'amino,

o li farai soffrire.

MARE A SERA

 

Uno

Potesse il mare

Placare il suono

Del giorno troppo stretto

 

Potesse il buio

Dare il silenzio

Al giorno rumoroso

 

Potesse l'acqua

Sciogliere il grumo

Nel giorno accumulato

 

Potessi un pianto

Onde annullarsi

Mischiare all'acqua salsa

 

Due

Spero che basti

Di fronte a scogli neri

Cogliere il vento

Dentro le mie narici

 

spero che scenda

nel golfo reso viola

e sia placato

del giorno il mio rumore

 

spero che torni

vero a questi occhi

il sogno vago

d'un giardino assolato

 

spero che s'apra

con chiavi mai avute

la porta a vetri

che cela i suoi tesori

 

spero che infine

non più fuggano i sogni

le mie mattine,

e s'aprano al mio cuore.

 

Tre

Sul mare amico

la luna saluta:

i sassi rispondono a scrosci.

AUTOBIOGRAFIA

 

All'epoca, non me ne accorsi;

musica di cui non mi curai

lasciò debole traccia in me:

ne vedi i segni mescolati agli altri.

 

Qualche ricognizione sorse,

di quando in quando, a flettere

un ciglio, un muscoletto in viso,

un'emozione fatta repertorio.

 

Ora tu godi, dài voraci morsi

alla scoperta ch'è per te recente:

tu trovi il nuovo dov'io vedo

la ruggine del tempo già deporsi.

 

Sento il tuo giudizio opporsi

al mio d'allora, al mio presente;

dei significati allora scorsi

altre versioni, in altre vesti offerte.

 

E tu ora fai strani discorsi

su brani che credevo di sapere;

se cerco di capirti

nuove parti di me riesco a vedere.

NOI DUE

 

Vorrei essere scrittore.

Trovare il tono per descrivere

la nostra consuetudine:

la spesa fatta insieme, il soccorso reciproco,

la lite subito spenta, l'abitudine a ridere.

 

Vorrei essere fotografo.

Cogliere inquadrature e farne icone.

Estrarre, da scene banali

un fotogramma eccellente, sguardi rivelatori,

gesti ben calibrati, il nostro vivere.

 

Vorrei essere poeta.

Conoscer parole vere

da mettere come a caso.

Ognuna che dica il mondo, richiami sentimenti,

convinca del nostro affetto, descriva l'incedere.

 

Ma sono io che vivo.

Ogni tanto ci guardo:

te da qualche parte e io da un'altra

o intenti al comune che fare.

La mia forma d'arte e la tua la nostra epica;

bellezza in corso d'opera, capolavoro incompiuto.

​

Vorrei completare la storia

che la natura narri, la luce diffonda, i fatti proclamino.

I MIEI CHAKRA

 

Marte, febbricitante ed arso

Venere struggente di passione

Sole, dona luce e sostanza

Terra, di ossigeno accogliente

Luna silente, Nettuno distante

Polaris, piccola e sicura

Galassia, di luce circonfusa

Radiazione di fondo, nido sparso,

Cambriano dell'universo.

AUTOBIOGRAFIA 2

 

Per ogni suono scopro,

una nota per volta,

la mia rete nervosa.

 

Guardo il tuo viso a dirmi,

un gesto alla volta,

quel che ne pensi.

 

Mentre ascoltiamo cresco,

nel mio capirti,

altra parte di me:

 

di qui è passata un'ombra;

nell'ascoltarla

ho mutato opinione.

 

Ora tutto risuona

di strumenti nuovi:

come ho potuto non sentirli prima?

VENTO FORTE IN CITTÀ

 

Da dove arrivi, tanto urgente,

Cosa ci porti, che non sia pattume?

Cresci come a punire

Ogni cosa che incontri.

 

Nelle strade t'ingolfi

Spazzi pilastri e tetti

Fremono gli stipiti, sbanda la gente

Che t'ha sfidato uscendo.

 

Viene voglia di respirare forte

Portare il tuo sconquasso nei polmoni;

Sembra potersi ripulir così

L'aria nostra malsana, dentro e fuori.

 

Se non temessi aspre conseguenze

M'aprirei volentieri al tuo vigore

Getterei pari grida sconnesse

A dirti mio fratello:

 

"Come te vivo disordinato

Senza mete che non siano distratte

Da bisogni ulteriori, voglie fatue

Soddisfatte e subito scordate."

 

Ma vento nuovo ho conosciuto altrove:

Ne spero la costanza

Di quando spirerà dalle mie parti

Dandomi precisione.

 

Quel giorno mi farò due ali,

L’oscuro fuggirò aquilone

E nel cielo ripulito pulirò,

Dentro e fuori, l'anima mia malata.

IL LIMITE

 

Il limite

A ricordarmi di che sono

Mi sbalza all'aldilà di ciò che vedo.

 

Il confine

Di consuetudini incomprese

Pieno d'estraneità mi si rivela.

 

La paura

Che mi si possa sgretolare

L'effimera unità di me persona,

L'abbraccio

Di me con la realtà

Rende precario.

 

A tavola

Bastò l'arancia di mio padre

Per dirmi che si può forare il cielo.

Mi curo

Di custodire in ciò

La mia speranza.

PORTE APERTE

 

Si vede un ambiente, si valuta il mobilio, forse si scorge un moto...

Poi la porta si chiude sulle domande a venire.

Altre si aprono su panorami nuovi

E promesse non mantenute di ingressi altrui,

o tue uscite.

 

Ogni volta sorpresa,

La persona nel mezzo

Non sa girarsi anticipando il futuro

Né, prima che passi, tuffarvisi.

IL MARE

 

Che se lo guardi t'annega,

Che se lo fuggi ti chiama,

Che se l'annusi ti piace,

Se stai vicino ti copre.

 

Sempre pieno all'eccesso

Quando non violentato;

Sempre accogliente e fecondo

Quando non assassino.

 

Moto infinito,

Presenza immobile

Su mappe di storie umane

Che pure vi si consumano.

BLUES

 

Sensi d'altrove

D'altrui patimenti,

Storie comprese

Ma non condivise.

 

Urgenza di viaggi:

Ché questo m'impone

La ruota del ritmo

Perenne e continuo.

 

Racconti di lingua straniera

Di suoni che posso piegare

Ai miei significati.

LASCIAMI PER UN'ORA

 

Lasciami per un'ora rincorrere quei sogni,

Anche se trasformati nel marmo dei ricordi;

Lasciami come bimbo che insegua dei piccioni

Prima che ognuno vada sbriciolato volando.

 

Coglimi tutti i fiori dispersi sul tappeto,

Fammene grembo allegro pur se colto d'impaccio;

Apri quelle finestre di zucchero filato,

chiama il mio panorama un'altra volta alla vita.

 

Apriti, fantasia, come sognavi i giorni

In cui, presenza e cibo, m'indurivi le ossa;

S'apra il cuore, e non tema d'essere sparsa invano

Quella goccia di miele che il desiderio spreme.

 

Dammi un solo respiro, premio alle molte fiabe

Da un ingenuo tessute a corredo di altre;

Possa sapere vinta nell'attimo la guerra

Di vittorie presunte e di battaglie perse.

 

Voglio innalzare estatico il vessillo dei sogni,

voglio più in alto porre la mia bandiera azzurra

un altro cielo aprire e nuove terre scorte

finger di possedere, a vanto incauto e lieto.

UN GIACIGLIO

 

Un giaciglio,

Un viaggiare tranquillo:

Questo tu sei.

 

Il mio presente,

poche cose necessarie,

e tu a farne tesori.

 

La nudità

Che ci fa prossimi

Senza il bisogno di maschere.

 

Sospiro di sollievo

Se penso a quanto è facile, per noi,

Essere vivi e amare.

SEMBRA CHE UN CUORE

 

Sembra che un cuore batta

ma passi, sono, alla morte

di chi, passando, coglie,

dai rovi, le sue more.

 

Quale, la storia vera?

"Abbatté più d'un muro",

"Inseguì una chimera",

"Divorato da un lupo".

 

I fatti accumulati

son gusci da capire:

dei gusti assaporati

nessuno sa parlare.

 

Dimmi cos'hai raccolto:

"Sassi pieni di fango",

"Preziose statue d'oro",

"Storie dal gusto amaro".

 

La via del paradiso

e quella dell'inferno

separate, alla fine,

da uno sguardo diverso.

MEGLIO SAREBBE STATO

​

prima

Meglio sarebbe stato non averti

Che perderti senz'averti capita,

Soltanto tardi avere gli occhi aperti

Non dalla tua visione

Ma perché sei sparita.

 

Quando un rumore finalmente cessa

Così t'accorgi del disagio andato;

Gode di libertà l'orecchia oppressa

Mentre riprende l'uso

Del senso affaticato.

 

Sorge, al contrario, una delusione

Se un bene s'interrompe sul più bello

Come quando si sente una canzone

E proprio mentre godi

Si ferma il ritornello.

 

Ma molto più risulta cosa amara

La vista di quel bene che hai sognato

Passare oltre; già lontana e rara

La gioia allontanarsi

D'un gioco mai giocato.

 

Resta così l'inutile silenzio:

Far la rassegna e mettere a confronto

Il miele mai gustato e quest'assenzio.

 

seconda

Meglio sarebbe stato non averti,

Sognar d'avere, ma ignorare cosa;

Attenderti

Come necessità non conosciuta;

Condir quanto mi resta

D'un bene inavvertito.

 

Meglio di questo stremo

Inutilmente di ricordi pieno.

Rimpiangere

D'aver avuto senza mai godere

La gioia non provata,

Che non seppi tenere.

 

terza

Meglio sarebbe stato non averti:

Quando tu c'eri, io non t'ho mai capito;

Ora che non ci sei, conto il perduto.

25 APRILE

​

Bello, un fiorire, è sempre:

Promessa di frutti.

Sembra nella natura delle cose

Che la Liberazione

Al colmo venga della primavera.

 

Semi di speranza

Irrorati di sangue

A combattere il nero di una notte

Morti ma presenti ai muri delle case

Sui lampioni e presso le strade.

 

Chi vi guarda oggi

Mentre rincorre altro

Trovi il tempo di pensare al sole

Sempre minacciato

Da eclissi di guerra.

LA CREAZIONE DI MONDI

 

prima

Quella che vedo non è la verità:

La "donna dagli occhi tristi"

Non necessariamente è triste.

Ho imposto un'emozione a me soltanto,

Un mondo immaginato

Che l'esistenza trae

Da possibilità non dimostrate.

 

seconda

Donna che hai seminato,

Per la tua sola presenza,

Spunti di storie nuove

Che io ed altri cogliamo

Passi oltre e non cogli

La mole dell'esperienza

Di cui per te godiamo.

Triste, nevvero?

UNA FRECCIA VELOCE

 

Una freccia veloce

Qui nel mio cielo passa;

La Luna parimenti

Bianca, pian piano cresce

Come Sole comanda.

Sale sopra quei ciuffi

D'alberi, a contorno

D'un prato che l'estate ha un po' seccato.

Al fondo, la costanza

Di motori che vanno,

L'impegno degli umani a ricordare.

 

Tutto è silenzio, sotto quei rumori:

Sotto strade che immagino affollate;

Sotto un sacchetto appeso

Esposto al venticello,

Esso pure silente;

Sotto l'ulivo, fitto

Di rami che la luce

Ritorce; sotto voci

Care, laggiù dove il fico fa frutti.

 

Silente l'aereo

Che umani in alto porta;

Da millenni si tace

La Luna che silenzio

Insieme dà e pretende.

Io solo, raccogliendo

Tutto questo vivere,

Sento il frastuono dei significati?

 

Vorrei farmi silenzio

Per somigliare all'altro

Che mi giunge dal mondo;

Lasciar tutte le voci decantare.

 

Ma dentro me cospira

Ogni richiamo esterno:

Come strumento deve,

Risuona l'universo ed io con esso.

 

Resto nel mio rumore

In compagnia beata:

Centro e periferia

D'un paradiso vasto,

Coro che canta in pace

E le paure sembra allontanare.

L'ULTIMA SBRONZA

 

La concezione di sogno immacolato

dentro le spire d'un disegno erratico

che macchie porta nel mio programma errato

di trovare parola che spieghi

il lembo perso d'un mistero esotico

capace del mio peso,

greve di un mondo perso

nella mia crescenza.

 

E se d'ogni palpito non do ragione,

offro, libame incapace d'essere,

quanto rivolto ad eterno conoscere,

sì che tutto si renda consapevole

nell'essere altrui.

 

Posso sfiorar la guancia,

immota di sapere,

di vergine con me giunta a contemplare,

solo per sua bellezza degno;

inani le celebrazioni delfiche,

nel convertire altrui a ricongiungere

desueti fonemi a incognite stagioni

di plebe non capita.

 

Ma tutto è grazia.

LA VECCHIA

 

Qualche barattolo aperto,

in cucina;

un vestito che attende, pronto

sul nulla.

 

La posizione di un lume,

curata,

per riflettere al meglio

strategie consumate.

 

Ritmi di storie ed oggetti

al tempo zero;

dimestichezze e consuetudini

decantate per sempre.

 

Tracce per sempre mute

di una vita che fu;

sciarada irrisolvibile

di moti spenti.

FERIALITÀ DELLA CREAZIONE

 

Lo scienziato che illustra

Particelle sfuggenti

Suscita risonanze

Coerenti col suo mondo.

 

Per quanto ci si scruti

Nel sentire profondo

Non si trova nient'altro

Che splendore d'umani.

 

Il miracolo è altrove,

mai raggiunto:

questo è miracoloso!

SCORIE

 

Affagottati così, manco fossero

stracci!

Per me non è straccio quel giubbino.

La stoffa lisa me lo rendeva caro:

ridava, dell'uomo che sei, il bambino.

 

Giace, lì pure, un bottone malconcio:

per anni ha servito.

Ci crederesti? C'è una storia con lui,

su chi l'ha cucito.

 

               Troppa materia s'accumula,

               e si continua a buttarne

               gettando reliquie con essa.

 

Contemplo le scorie prodotte:

sembianti di storie interrotte;

la forma di strade passate.

POMERIGGIO

 

L'acqua del tè che già bolle,

s'interrompe il litigio.

Distratto verso le foglie,

non rilascio il cipiglio:

 

abbiamo troppo creduto

per accettare veti;

troppo s'è visto passare

per passare su tutto!

 

Ma prendi la tazza con grazia,

bevi e mi guardi bere;

io scaldo le mani col tè,

gli occhi di te. E taccio.

 

Vani filosofi, siamo,

se un breve calore esterno

ricompone i dissidi!

ALL'IGNOTO CANTAUTORE

 

Finché ci saranno persone a cui tirare sampietrini

ci saranno persone a tirare sampietrini;

finché ci saranno persone,

ci saranno persone a tirare.

E se non ci saranno più persone,

i sampietrini si tireranno da sé, per abitudine.

 

Finché ci saranno persone che erigono statue

ci saranno persone che abbattono statue;

finché ci saranno persone,

si faranno statue da abbattere.

E se non ci saranno più persone,

solo le statue resteranno, mute.

 

Finché ci saranno persone a minacciare

ci saranno persone a minacciare i minacciatori;

finché ci saranno persone,

si parlerà di minacce.

E se non ci saranno più persone,

resteranno i segni di tutte le minacce.

 

Quando avremo tirato tutti i sampietrini,

dovremo ricostruire le strade;

quando non si faranno più statue,

non ci resterà che guardare in faccia le persone.

Quando le minacce non faranno più paura,

allora si vedrà chi ha più coraggio.

OFFERTA

 

Ti gualcirò le membra, incauto e folle

e tu, per il resto del giorno,

rassetterai le vesti, sorridendo.

 

Sguardo birbante leverai pensando

alla mia furia disarticolata

che cerca dentro te rifugio forte.

 

Lasciami, dopo, alla mia deriva;

lasciami ora, oh lasciami!,

come marea paurosa, avvicinarmi a te:

 

che mi s'infranga l'aire contro i tuoi occhi accesi;

che si consumi il vigore alla tua quieta passione,

come di monte sovrano.

 

Al giorno che viene accorda

il tuo pudore sorpreso, l'onda

austera dei fianchi, il passo nobile;

 

dona a quest'alba insicura

grida invece, e sospiri

come di beneplacito

 

al pianto che, senza merito,

un miracolo implora

dalle tue sopracciglia.

INVENTARIO

 

Che vale il ricordo?

Solo ricordo il passato

Che ricordando non torna.

 

Quello che non è più,

non mi curai di cogliere

perché quell'oggi mi pareva eterno.

 

Non ricchezza lo scrigno fra tanti,

non reliquia l'oggetto comune;

pezzo raro non ebbi a salvare.

 

Resta un rammarico sordo contro me,

per la preparazione improvvida del sacco,

scorta del mio viaggio lungo il tempo.

 

Ritroverebbe vita un riso antico,

Risorgerebbe un rudere negletto,

se da miglior dettaglio rivestito?

 

Rievocare fantasmi, un fratto

discorso riallacciare,

riporterebbe carne a questi muri?

 

Vana fatica il passato,

col nuovo giorno che bussa,

di vergine foggia.

RUPPE I BICCHIERI DEL CONVITO

 

Ruppe i bicchieri del convito, furente,

se ne partì per una nuova vicenda.

 

Tutti furono stupiti, da copione,

senza saper che un copione esistesse:

quello chiaro all'uomo che, forte, esplose

tacito rifiuto colmo di parole.

La scena restò, nella mente d'ognuno,

dipinta: memoria al furibondo andare.

Troppo duro il cammino, senza un ritorno,

la strada egli arrancò, sempre in salita,

le occasioni mancanti come una guerra,

cruda vendetta del Normale sul Genio.

 

Al vento gettò ciascuno quei discorsi

che non fûr detti prima, né ripensati,

tali da fermarlo, ma che nessuno osò:

ch'egli voleva e, non avendoli, fuggì.

Accento restò nelle vite di ognuno,

d'un meglio possibil, che non fu saputo;

proteste avventate gettò egli ovunque,

per il disagio di non trovata pace.

 

Scesero sere difformi, un sol rimpianto;

unica perdita in due modi vissuta:

l'equivoco di un tempo che non gli bastò,

l'esausto affanno di lunga attesa vana.

NULLA

 

Nel crollo di me

come mi credevo,

mentre vibrano ancora le rovine,

 

s'organizza quel chiasso

a formare parole

di quel nulla che resta:

agitarsi di stimoli,

come se un nulla non restasse mai.

 

Senso, ché pure un senso permane, d'inutilità

di questo nulla che sono, e nel contempo

sentir che sono.

 

Giunto come alla fine dell'essere

trovo le sue radici:

principio sia!

 

Quanto più perso nel nulla, tanto più risospinto,

da questo ribollire che mi annega,

a vivere.

 

Crollo di significati ormai vetusti,

proposte d'altri

che mio malgrado s'offrono.

 

Speranza che il nulla non sia, com'è filosofia;

non sia che impercepito inizio, per me,

d'altra mia vita.

CANZONE

 

Ballo,

      sfrenato e un po' discorde,

      sopra le pietre antiche di chi ero.

Scialo

      di quanto già goduto,

      come non fosse godimento vero.

Canto

      immemore di pianti

      per questa solitudine ispirata.

Pianto

      nell'animo i sospiri

      che per l'amore altrui feci poesie.

Come non fosse stata grave cosa, rigetto le passate ipocrisie,

le vuote vanità, i falsi successi, che furono la gioia mia sprecata.

 

Poche

      le cose trattenute,

      simile ad una fuga il mio viaggio;

come

      se tutto l'avvenire

      portasse solo doni al mio passaggio.

Dove,

      davvero non m'importa,

      di mettere al sicuro le mie cose,

onde,

      quei giorni di tempesta,

      vuotano d'ogni forza le emozioni.

Fingo che non sia stata mia la colpa, di troppe mie mancate costruzioni

e colgo ancora fiori tutt'intorno, sperando aver mattoni dalle rose.

 

Sesta

      di cinque sensi noti,

      la mia speranza che non cerca prove.

Certa

      ricchezza immeritata,

      per chi di povertà vuole vantarsi.

Lieto mi faccio verso un avvenire che non può darmi più che quel suo darsi;

colgo poche vittorie, mentre spero sogni più belli fare, e gioie nuove.

NEVE

 

T'hanno a lungo sentita e non venivi;

ora sei qui: coltre, ovatta, quant'altro.

 

Leviti i nostri passi, sul tuo molle spessore, e vedo

un poco oltre la siepe, quel giardino,

che anche dopo il disgelo penserò ricoperto.

 

Rendi più cupi i suoni, più dolce il sostare

dietro le tende, guardando e sentendosi sognare

a credere che tutto sia così, quietato,

senza calamità o disagio:

 

solo un restare placido,

sbuffare, lieti per lo scampato freddo,

godendo meglio il calore di un sorriso amato

sotto quel viso bianco di gelo,

come bianco è il tuo gelo.

 

Istante d'un sereno eterno quale tu sembri,

labile peso sopra le strade nostre,

che sembri per l'eternità fissare.

INCONTRO

 

Tu, Umano,

trovato per un attimo,

fugace tocco delle dita sconosciute

che pure, per un attimo, sono state amiche.

Tu, Umano,

luce per un momento accesa nei miei sogni,

sentimento che sì, qualcosa palpita

oltre l'orizzonte dei pensieri.

Tu, Umano,

uomo o donna:

vecchio, che dia speranza al mio futuro

o giovane, che dia sollievo al mio passato

col fulgore del suo.

Tu, Umano,

sentimento gettato, quasi uno spreco,

a farmi dire che qualcosa s'agita, vivo,

di tra le nebbie di materia inerte.

Parola di getto spesa, sorriso volentieri reso;

comunità di pensieri, svago comune.

 

Tu, Umano,

al quale far sentire l'infinito;

Umano che con me veda le stelle,

da quella nostra

all'ultima galassia conosciuta

e poi ritorno.

Umano che mi dici me, così diverso;

così uguale a questi sogni miei,

tanto dissimile nel modo di sognarli.

Umano che mi vedi com'io vedo;

specchio in cui rincorrere il mio viso

per ritrovarvi il tuo.

Occhio di luce, cuore di fuoco.

Che non si resti a lungo appiccicati,

non tu, non io siamo lo scopo,

della reciproca, commossa somiglianza.

Tu, Umano,

sei scopo; tutto tu sei.

L'Umano che domani troverò.

 

Tu, Umano,

ragione, un giorno, per non voler morire:

perché, quando hai visto gli Umani,

che mai di tremendo puoi soffrire?

Tu, Umano,

scopo dei cieli.

Tu, Umano,

miseria che si sa riscatteremo.

 

Umano,

non fermarti,

non cedere al flusso degli eventi;

non scioglierti.

Umano, non finire.

Che non si perda quanto ho visto, resta

ché io ricordi.

Fugace tocco, presto lasciata unione,

sùbita comunione: dura in eterno.

ACQUA

 

Acqua, per carità: dell'acqua.

Quella che scorre, come non so fare,

quella che va laggiù, all'altrove

che non so trovare.

Acqua per annegare.

Lasciarmi nel suo moto sommergere,

che porti me, io che non so portarmi,

là dove non so andare.

Io ne potrei morire, d'abbandono,

di quiete d'altro che non sono.

Potrei scordarmi il respiro, inadeguato comunque,

in un respiro ampio come un mare.

Riposare,

io che non fatico,

delle fatiche altrui,

quelle che vedo,

quelle di chi non sa quello che so, che spero.

 

Trovare un mare

che non sia

pieno dei corpi

di futili annegati?

Che noia, la troppa carne marcescente;

molle più della mia,

che meno della mia ormai si muove.

Moto che solo all'acqua sia concesso,

di portarli tutti chissà dove.

Noia, anche, sentirmi come i tanti

che prima, e dopo, e pur durante

di riposare voglia hanno sentito.

Non ti disturba, o stanco, l'esser di nuovo simile alla folla,

tu che da tante folle sei fuggito?

La folla degli esausti, questa volta,

dopo la turba degl'illusi,

la tribù dei sicuri,

il branco degli esitanti.

 

Se fiume della vita

l'han chiamato,

ci sarà pur ragione:

non l'acqua di sotto, imputridita;

non quella dai cieli, che non mi ha mai bagnato,

in terra non trovando paragone;

l'acqua di noi, fiacchi talvolta, sempre vivi,

che fluisce nel mondo, chissà come,

portandoci là dove non sappiamo,

siamo proprio noi.

Siamo quest'acqua, né altra serve

a dilavare il fango, le scorie, il fare tardi.

 

Ti prego portami, acqua, verso il mare.

Portami verso il futuro,

a riposare da un presente oscuro,

in un domani senza più ricordi.

Che un ricordo non serva per sentirmi vivo,

che la mia vita al mare altre ne porti,

in qualche modo.

Goccia fra gocce, alito, speranza.

La mia grandezza al mare giunga

e là s'espanda.

VORREI FOTOGRAFARTI

 

10.11.91

Vorrei fotografarti, o mondo,

quale ti percepisco.

Con quel tramonto rosa, e più in là altri colori,

mentre una virgola si è levata

a mia insaputa

e mi spunta di fronte all'improvviso.

Fotografarti per guardarti ancora,

o mondo, in un'ora

di migliori sentimenti,

sì che la tua bellezza

non mi vada perduta.

Tenerti con me, in una tasca,

una foto cara

che ogni tanto si rimira,

una preziosa luce in una vita,

a ricordar che ogni tanto, sì, anch'io vissi di luce.

Fotografarti per portarti in giro, o mondo,

e mostrare per tuo mezzo tutto il sogno

che abbia mai sognato.

Fotografare te, o mondo?

O non piuttosto quello che vuol dirmi,

questa luce serena, questo colore angelico?

E quale macchina userò

per dare parola alle tue luci?

E quale tra gl'infiniti istanti

potrei fermare, e dire:

"È questo, quel momento prezioso!"

O non forse il successivo? O il precedente?

Ora che la virgola è salita,

o prima, quando me ne accorsi?

Ora che il rosa s'è allargato,

o quando mi chiamò?

Vorrei fotografarti, o mondo,

nell'attesa di quel giorno

o, come questa sera, quella sera,

in cui la tua bellezza

all'improvviso

mi apparirà più chiara.

 

15.2.92

Non voglio più fotografarti,

non credo più

che tu sia prezioso, o cielo.

Tanti altri cieli vedrò,

altre sere mi coglieranno stupito

a contemplarti.

Altre nuvole faranno gare

di forme e di colori

per mio svago.

Come un ricco non si cura di un soldino,

come presso una fontana

non si fanno scorte d'acqua,

così non temo di perdere nulla della mia ricchezza.

Sempre avrò meraviglia, sempre gusterò

lo spettacolo d'esser vivo,

fintanto che vivrò.

Smetterò di guardarti, o cielo? No davvero.

Continuerò nel solitario godimento,

beandomi del mio compiacimento.

Pago ma non sazio di bellezza,

ogni sera vorrò ricapitolare

la serie e l'estensione degli azzurri, dei violetti.

Originale ricchezza, ricchezza completa,

quella che gode di ogni chicco d'un granaio immenso,

non temendo perdite, ma non perdendo occasione.

Come un ricco che gioisca di un soldino guadagnato;

come chi, presso una fonte, lieto sia d'ogni goccia.

TU VIVRAI

 

Tu vivrai.

Fino a che sentirai tutto il peso dei secoli

               gravarti silenzioso addosso.

Quando tutto il polverìo dei millenni

               t'avrà ricoperto,

ancora vivrai.

E ogni luce ed ogni sguardo

               ripetuti mille volte

               nell'infinita memoria dei tempi

tu vedrai.

E la tua mente passerà di vita in vita

               e tu, che stenderai le membra

               nell'impossibile rincorsa ad ogni idea

per ciò vivrai.

Vivrai per patire la sete

               per sentire il cuore farsi greve.

Nell'arido di pensieri sfuggenti,

               di sogni frantumati in sabbia

               nell'entusiasmo multicolore dei progetti

               nella gioia di un arrivo o nella rabbia

tu vivrai.

Finché non avrai conosciuto ogni tuo osso

               ed ogni nervo non avrai provato

tu vivrai.

E sentirai.

Sentirai mille risa

               e mille e mille pianti;

               la terra sotto i piedi e il cielo in testa.

E finché ogni tuo brandello non sia sparso,

               le unghie di belve farti a pezzi

               e, fino a consunzione d'ogni forza,

               forti sentimenti e forti ire.

Finché un pensiero riempirà la testa,

               peso di grosse macine a schiacciarlo.

E quanto tu vorrai morire

               altrettanto vivrai;

               quello che non vorrai sentire

               sperimenterai.

Farai l'amore con la dea Afrodite,

               suonerai con il flauto di Pan.

Darai sospiri nuovi a nuove vite,

               corpo a fantasmi e anima alle cose.

Sarà forse una nota stonata,

               forse un'idea che non si concretizza,

               forse la stanchezza accumulata

               o rime che non vogliono baciarsi,

Così passerai da sogno a vita

               finirai l'attesa e troverai gli incontri.

Quando dirai "ancora, ancora",

               allora si fermerà ogni storia ed ogni luce.

Non prima d'aver amato tutto

               potrai a tutto dire addio;

               e sarai polverìo di millenni

               che carezza dolcemente l'altrui vita.

IL MARE D'INVERNO

 

Pochi gabbiani sfiorano

nel volo, l'acqua di vetro,

il tempo immobile.

 

Nuvole intense portano,

sotto il brusio di chi passa,

un suono d'assenza.

 

Le coste, decolorate

in un presepe anelante,

attendono sole.

SOLE

 

Bello, un pensiero solo!

Un pensar come sole

che solitario splende.

E niente illumina.

 

Bello, un pianeta solo,

non è, perché non vive.

 

Senza pianeta

che prenda il sole e viva,

non serve luce;

senza persona viva,

nessun pensiero vale.

HO VISTO GLI AEREI VOLARE

 

Ho visto gli aerei volare,

posti fra cielo e terra,

onde più alto facevano sembrare

il primo a noi secondi.

 

Ma lo sguardo, incapace di soste

da loro andava alle nubi che, sfrangiate,

più vogliose parevano di quelli

avere un moto, e ferme stavano.

 

Rigide strutture in corsa,

labili forme immote

sensi contrari affollati

sullo schermo del cielo.

Attesa
Poeta vecchio
Mare a sera
Noi due
Autobiografia
I miei chakra
Autobiografia 2
Il limite
Vento forte in città
Porte aperte
Il mare
Blues
Lasciami per un'ora
Un giaciglio
Sembra che un cuore
Meglio sarebbe stato
La creazione di mondi
25 aprile
Una freccia veloce
L'ultima sbronza
La vecchia
Ferialità della creazione
Scorie
Pomeriggio
All'ignoto cantautore
Offerta
Inventario
Ruppe i bicchieri del convito
Nulla
Canzone
Neve
Incontro
Acqua
Vorrei fotografarti
Tu vivrai
Il mare d'inverno
Sole
Ho visto gli aerei volare
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