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Contatto (siamo in tanti, qua dentro)

Ero tornato prima a casa: riparazioni da fare. In una giornata bella di sole, come non ne avevamo da mesi, mi ero messo a combinare qualcosa di domestico per l'abitudine, in quei mesi acquisita, di rintanarmi appena possibile.
C'è gente che ama il freddo, ché tanto basta coprirsi; c'è chi vive a latitudini torride e si rintana semmai dal sole inferocito. Io mi rintanavo per non patire il freddo, qualche volta anche per non patire e basta (Awo vinyé; N'gba fanviwo; Awo djédjévinyé; Bonou bonou kpo Trad.).
Aprire il contenitore, mettere a nudo qualche filo, viti e aggeggi da sistemare. Una casa contiene, oggi, tanti meccanismi che mio nonno, fosse vivo, indagherebbe con trasporto, lui che s'ingegnava con le radio a galena. Un progresso che ricopre la nostra vita di funzioni mai apparse prima, di operazioni nuove, e della necessità di rimettere ordine una volta compiuto un aggiustamento.
الشّامْسُ Trad. mandava il suo richiamo ancora finto al di là di vetri che ne amplificavano il calore, esiguo di stagione, coll'aiuto del riscaldamento interno. Io, che ho sempre amato la luce più che n'abbia mai avuta d'inverno, cominciai a pensare al sole, a questa nostra Terra che come una incubatrice ci fa crescere, protetti dai suoi raggi peggiori, rinchiusi al vuoto immenso dello spazio per affrontare il quale avremmo dovuto rivestirci di una seconda epidermide, come si fece alle branchie per uscire dai mari. Un tegumento nuovo che racchiudesse la respirazione, la nostra fragile pelle, gli occhi sensibili. La nuova puntata nella storia dell'evoluzione.
Stavo sempre meno lavorando e sempre più immergendomi nel raccoglimento. I lavori meno pregiati lasciano spazio alle idee in un modo che lo sforzo intellettuale non permette, quando si deve controllare il materiale fornito dal cervello, esaminare con scrupolo i suggerimenti bizzarri senza negarvisi, per non lasciarsi sfuggire qualche intuizione da trasformare in razionali spiegazioni ad uso dei propri simili. Spazzare un pavimento, per me, è invece un modo come un altro per non opporre veti al pensiero e per questo rimuovevo con piacere i rimasugli del mio lavoro e la sporcizia che perennemente sorge.
Spostavo i residui di ere lontane, stupito ad immaginare le origini remote della polvere che trasportavo. La mia mentalità m'indusse a dar continuazione al moto, movendo me stesso oltre i miei giorni, a ere di là da venire, e quel transito materiale si espanse nel tempo, traslando me con esso.
Una macchia rossa del sole al tramonto si spostò rapidamente, mentre davo infine un termine al parlare interiore e le idee si volgevano in meditazione.
Come spiegarlo? Non lo pensai ma fu ciò che mi chiesi: come spiegare agli abitanti del cosmo, lontani di tempo e anni-luce e biologia, la mia condizione di umano ancora stretto nel mondo primordiale? Si pose a quel punto un controllo volontario alle idee che talvolta mi esprimo, senza parole, quando le mie parole finalmente tacciono. Forse per un collegamento mentale diverso, un modo nuovo di espormi una necessità; qualcuno che chiede, e si risponde in tutta naturalezza nella sua lingua, adattandosi al suo modo di pensare. La percezione, in quel momento plausibile, di un dialogo instaurato.
La scopa si fermò, questo antidiluviano arnese (e quanti diluvi di qui ad allora?). Dovevo mostrarmi questo mondo. Ma senza uscire. Non c'era tempo. Guardai la finestra. Pensai le nuvole là fuori senza pensarne il termine. Guardai verso il sole e poi la macchia rossa sul muro. Di nuovo il sole, di nuovo la macchia: avrebbero capito? Respirai rumorosamente, alzai le braccia per vederle.
Contemplai ch'era il modo giusto e continuai. Ecco amici, venite: la mia casa è modesta ma ve l'apro di cuore, come vi ho aperto la mente. добро пожаловать Trad., mi casa es su casa Trad..
Dovevo stare attento, un nulla e i miei pensieri disordinati avrebbero chiuso la comunicazione. Voltai lo sguardo al mio letto (ero proprio in camera) e ne scorsi la lunghezza. Come si dorme nello spazio, in assenza di gravità?
Oltrepassai la polvere sembrandomi in essa di trovare un residuo di antenati loro, discendenti miei, scoppiati come palloncini negli sforzi compiuti da un'intera specie per conquistare l'ennesimo ambiente ostile.
Volgi lo sguardo ancora, oltrepassa la porta, apri la vista a offrirti la percezione di tutto l'ambiente attraversato. Oggetti comuni come antichi reperti, quali saranno importanti? Capiranno questo calendario, e il citofono appeso? Ecco: quale tecnologia avevamo, quando di poco simili ad un pesce azzardavamo i primi slanci al futuro? Avevo seguito un documentario, da ragazzo: la tecnologia nell'età classica, venti secoli prima di me; ora io volevo pateticamente dimostrare a qualche mio inimmaginabile ospite di aver da tempo superata l'età delle pietre scheggiate.
Altra finestra, da lì si contemplano palazzi come il mio. Avrebbero riconosciuto il fuori di questo mio dentro? La benedetta figura di un ragazzino con una palla in mano: ecco, siamo così. Giungeva, inintelligibile, una voce. Fai udire la tua. Una canzone o una poesia: "Tiandé kwouè oho dé kwouè, tiandé, Ta di tabassoué, tiandé" Trad.. Non bastava. Presi il telefono, l'ultimo numero fatto. Pronto? Ah, scusa, sono di nuovo io, ho sbagliato numero. Tutto bene? Sì, scusami. Riattacco, senza spiegarti che la mia voce, alterata, e la tua, filtrata dai nostri preistorici apparati, erano sufficiente specimen, biologico e tecnico insieme.
Ma il computer, per Giove! Quasi persi l'aggancio. Da lì feci partire una musica, mossi il cursore a selezionare funzioni, fissai gli occhi sulla tastiera che, modestamente, uso piuttosto bene.
D'accordo, avete riso abbastanza. Della mia povera dimora, inondata dal polverìo dei millenni, dei dispositivi miseramente opposti alle lacune di natura. Ma quel 太阳 Trad., e тези облаци Trad., e السَّمَاءُ Trad. bensì inquinato sono sufficientemente folcloristici per dei remoti turisti? Ne soddisferebbero la voglia di esotico, fra milioni di anni e di parsec e differenti connessioni neuronali?
Ma si potrà capirne qualcosa, di questo balbettio meditabondo, o non giungerà un rumore confuso...
MA TU CHI SEI?
Come rispondere? Cos'ero? Un lontano progenitore, signore e signori: uomo-pesce che nuota in un mare d'aria nell'attesa di evolvere i vostri polmoni spaziali. Operaio specializzato che svolge mansioni talora utili, spero, oltreché remunerative. Quanti altri lavori potrei fare? La risposta farebbe troppe richieste alle mie facoltà verbali, vi prego di fidare che siamo una società piuttosto complessa (il corso di studi scelto un giorno, non convinto). Che sono: un appassionato di musica, ve l'ho mostrata; ne avete voi pure? C'erano due stampe sul muro di fronte: cos'è l'arte, che si possa sentire senza pronunciare suono, e in che modo condividere il senso che dà, di avere soddisfatto un bisogno senza nome; amavo l'arte senza mai essermelo detto.
Amavo? E questa domanda, che spesso mi feci, è per voi rilevante tuttora?
Respirai, mi schiarii la gola, mi toccai un orecchio; era, il mio tatto, simile al loro? Ero contento della mia condizione di troglodita avanzato, o dentro di noi lateva l'insoddisfazione di non essere ancora l'umanità universale che vola a piacimento? Ci mancano forse le invenzioni di giovedì prossimo, i pianeti non ancora fotografati da sonde che decolleranno l'autunno a venire, i teoremi di un lontano decennio, che da qualche eone vi paiono elementari? E quanto di questa insoddisfazione metafisica e teleologica contribuirà a portarci, nel vostro giorno, ad essere voi?
Ma non una parola turbò i miei pensieri. Continuai a camminare lasciando loro immagini di muri e candele e termosifoni e frigidari di ciascuno contemplando, ché altro non potevo, pochi simbolici accenni al loro ruolo; e di lavabi e di vasche e di bidè; asciugamani e lenzuola; le scarpe ai piedi e le altre.
Un Gesù Misericordioso inchiodato sul muro compiva un gesto facile a fraintendersi (l'avranno potuto capire, così distanti? E cosa potevo, altrimenti, per catechizzarli?); fu logico allungare un occhio alla non idolatrica immagine regalatami da un amico, di altre genuflessioni pratico. Quante guerre ci sono, fra voi e me? Novantanove, otto, seicentotredici, tre?
Un ciuffo di capelli si spostò in direzione opposta alla mia, incrociando il vagare nella trasparenza delle cose mute, muto io stesso affinché di quelle parlasse l'esistenza: uno specchio.
VE LO FACCIO VEDERE IO, CHI SONO!
M'avvicinai. Sorrisi. Feci ciao colla manina. Aprii la bocca e feci sbattere i denti, schioccare la lingua ("Venghino siori venghino: l'uomo della foresta! Stai lontano bambino, ché morde").
Una risata a bocca aperta. Le mie mani che s'affannano a togliere le molte protezioni di pelliccia, fibre animali e vegetali, oh!, quanto potrei ancora narrarvi di Caino e Abele e delle rispettive occupazioni.
Getto qua e là, manca poco e lo so. Mi mostro nudo, scuoto i capelli. Sono belloccio, sapete, l'età lo concede (Matusalemme visse 696 anni), io prevedo settant'anni, ottanta magari, e sono tuttora quasi tutti faticosi. Quaggiù tutto pesa, tutto tende a cadere in una sola direzione finché non vi cadiamo anche noi, una volta per tutte. Mica come voi che un giorno prendete una direzione qualsiasi, i vostri occhi o quel che li funge spalancati ad un universo più in là, a bucare l'involucro di questo e scoprire l'altro lato del guscio.
Perché è questo che fate, nevvero? Non ditemi che riciclate i vostri corpi come la terra fa dei nostri... o ditemi che potete devolvervi allo spreco, che la vostra polvere non è reclamata se non dal calderone galattico... o spiegatemi come concorra a formare una di quelle immense nuvole incubatrici di stelle, stelle voi stessi oramai... o rivelatemi l'arcano di un buco nero e di dove conduce...
La fine fu una contentezza. Non so più dire, oggi, se sia stato un accomiatarsi o un moto mio abbia fatto mancare la presa. Mi spiace non avere questa sicurezza ma ricordo un suono, sgorgarmi e trasformarsi in una parola pensata e pronunciata, e forse anche ricevuta: どうも ありがとう Trad. e magari torniamo a vederci; alla stagione dei fiori, che meritano una visita.
Suona il telefono mentre questo stupido piange il suo peso, il suo freddo e le barzellette che nessuno ha inventato per il suo diletto.
Che sto facendo, mia cara? La guida turistica, la scimmia in gabbia; raccolgo i detriti del tempo e li porgo al futuro; faccio esercizi di multicultura; l'inventario delle mie rughe e mi domando se non si dispieghino a svelare ulteriori circonvoluzioni desossiribonucleiche; sforzi di concentrazione per mantenere in forma la chioma spettinata dal vento solare. Stavo spazzando il pavimento.
La spumeggiante pletora di parole ubriaca lei pure, che ride con una gola sorprendentemente simile alla mia. È abituata, poverina, alla mia fantasia, forse anche alla fantascienza.
Richiudo la comunicazione con un religioso senso di pienezza; gesto che mai apparirà banale, l'accomiatarsi: piuttosto sigillo alla comunicazione; beneplacito, non ad oggetti in sé chiusi ma all'essere ognuno porta stupefacente, il debolissimo aggregato momentaneo che comprime e ricicla la materia, in parola che fa materia di sé, come noi non capiamo.
Mi c'è voluto coraggio a sbarazzarmi della spazzatura, a spostare qualsiasi cosa di quella fotografia che avevo spedito oltre il tempo. Ma poi, una risata confusa mi ha guarito, costringendomi a fare due passi fino ad un'altra casa nota.
Nan djou oh; toï to toï... Trad.

Awo vinyé; N'gba fanviwo; Awo djédjévinyé; Bonou bonou kpo.
Oh bambino mio; non piangere piu; Oh bambino mio; fai silenzio, fai silenzio.
Da una leggenda in lingua Mina del Togo. Grazie a Reine e Céléstin. Su

Assciàmsu الشّامْسُ
Il sole, in arabo. Su

Dobro pajalovat добро пожаловать
Benvenuto, in russo. Me lo ricordavo per averlo letto da qualche parte, ma sono andato a cercare conferma e l'ho trovata su http://fr.wiktionary.org/wiki/bienvenue Su

Mi casa es su casa.
Dai, non ditemi che non si capisce, in spagnolo. Su

Tiandé kwouè oho dé kwouè, tiandé; Ta di tabassoué, tiandé
Perdinci, andare fra i gorilla; la freccia, che parte ha colpito? Perdinci!
Da una storia in lingua Wobé della Costa d'Avorio. Grazie a Reine e Céléstin. Su

tàiyang 太阳
Sole, in cinese. Gentilmente comunicatomi dai responsabili di http://www.tuttocina.it Su

Tesi oblatzi тези облаци
Quelle nuvole, in bulgaro. Ringrazio la signora Violeta. Su

Assamà'u السَّمَاءُ
Il cielo, in arabo. Su

Doumo arigatou どうも ありがとう
Molte grazie, in giapponese. Trovato su http://xoomer.virgilio.it/bandiere/giapponese/gia1.htm Su

Nan djou oh; toï to toï.
Bambino che impari a camminare; a passo malfermo...
Da una storia in lingua Wobé della Costa d'Avorio. Grazie a Reine e Céléstin. Su

Awo vinye
Asciamsu
Dobro
Tiande
Taiyang
Arigato
Toi to toi
Trad
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