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Altre case

La casa finta

Una casa simulacro, in dimensione naturale, dove nulla funziona e nessuno ha mai abitato. Una casa finta, può contenere segreti?

Una casa costruita seguendo le indicazioni di teorie astratte, può essere abitabile? Ma ogni idea è astratta...

Fatta da chi? Per che scopo? Quando? E le domande non si fermano qui.

Dei fantasmi di una vita che non svanisce col tempo. Una valida alternativa a tutti gli aldilà orrifici della cinematografia odierna.

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La Casa Finta

 

In una zona del nord America favorita dal clima costantemente mite, si trova una delle costruzioni più eccentriche ed enigmatiche dei nostri tempi. È una villa di dimensioni ragguardevoli, dal contenuto finto.
Tutto è stato accuratamente arredato, badando ad ogni particolare, ma rendendo inutile ogni oggetto e arredo, in parte svuotandolo, in parte fissandone le parti nella posizione intesa, come a rappresentare perennemente un dato momento nella vita dei suoi abitanti, mai esistiti. Nessuno infatti vi ha mai abitato, benché siano moltissimi coloro che l'hanno visitata, stupendo per le sue caratteristiche.
Dalla porta principale si entra in un salone arredato normalmente tranne per alcuni pannelli dipinti, raffiguranti quello che si vedrebbe se al loro posto fossero dei grandi specchi. Ognuna delle molte immagini disseminate per la casa è opera di un modesto pittore del luogo, assoldato dal committente in gran segreto.
Sulla sinistra dell'ingresso è una zona destinata ai pasti, con diversi ambienti.
La cucina è il più interno. In essa ogni cassetto, ogni anta, dà solo su spazi vuoti: un armadio contiene due pentole, in un cassetto troviamo un cucchiaio, un apribottiglie e un tovagliolo; nei mobiletti superiori sono ordinatamente disposti alcuni barattoli: del sale, dello zucchero, del caffè e di molte spezie; tutti vuoti e, un tempo, lucenti. In un armadietto sono un grembiule, una scopa nuovissima e uno straccio nella sua confezione. Sopra ad un fornello è piazzata una pentola, su un altro è una caffettiera all'americana, di vetro, con un doppiofondo che contiene un liquido scuro, dando l'impressione che il caffè sia pronto per essere servito nelle tazzine apparecchiate su una mensola lì di fianco. La zuccheriera è vicina, e una volta il coperchio vi era poggiato sghimbescio, mentre oggi è scivolato a terra.
Il ripostiglio ha uno scaffale, con bottiglie e scatole vuote di alimentari da un lato e prodotti per la pulizia dall'altro; c'è un rotolo di spago e un tubo di gomma, un imbuto e una scorta di prese da cucina.
Attraverso un piccolo disimpegno si arriva alla sala da pranzo. Si tratta di un ambiente elegante e dall'arredamento chiaro. La tavola è apparecchiata di tutto punto per sei persone, con tre forchette e coltelli e bicchieri, i tovaglioli variamente disposti: alcuni di fianco ai piatti, altri sulle sedie corrispondenti; anche le posate sembrano essere state spostate distrattamente. Ci sono caraffe per l'acqua e per il vino, naturalmente senza nulla dentro, una zuppiera parimenti vuota con il mestolo poggiato di fianco. All'ingresso si nota un carrello munito di tutto l'occorrente per un dolce flambé, fiammiferi compresi. Sotto un vassoio coperto si può trovare una vecchia lisca, autentica, ricoperta di un sottile strato di vernice trasparente.
Una delle sedie è spostata, come se l'occupante si fosse alzato a metà della prima portata. Qualcuno è giunto a domandarsi dove sia andato, nelle intenzioni del progettista. Infatti, a poca distanza si trova un bagno e su un lavandino è appoggiato un asciugamani, una saponetta è dentro e un'anta del mobiletto è spostata. Altri hanno immaginato che l'invisibile convitato abbia voluto dare uno sguardo dalla finestra che dà su un cortile interno. Quella è lievemente aperta, mantenuta nella posizione da una dose di silicone sui cardini, mentre all'ingresso del cortile è fissata una vecchia automobile giocattolo. Hanno immaginato che qualcuno chiamasse un giovane ritardatario, dal momento che uno dei posti a fine tavola è intatto.
Il salone, sull'altro lato rispetto all'entrata, contiene un arredamento raffinato, con mobiletti rigorosamente vuoti. Su ciascuna poltroncina è piazzato un plaid, ognuno in posizione differente, mentre ad una parete è un pianoforte verticale, aprendo il quale ci accorgiamo che la meccanica e le corde sono mancanti. I tasti hanno un tocco gradevole ed è un peccato che non ne esca alcun suono. Alcuni sono abbassati, e c'è chi ha cercato di capire, dalle note, che musica si intendesse eseguita.
Da lì si può andare in altri locali: salette da tè, bagni, depositi, perfino un locale da lavoro completo di attrezzi, legname pronto per essere adoperato, ogni tipo di bulloneria, tubi, metalli per piccole costruzioni meccaniche. Tutto però in quantità insufficiente, quasi un esemplare per tipo, giusto per dare un'idea.
La piscina esterna, chiaramente, è priva d'acqua; fu riempita solo in occasione del collaudo, per verificare la tenuta del rivestimento impermeabile, ma subito svuotata dopo che il pittore vi fu trovato morto. Le sue pareti sono state dipinte in modo che, ad un'occhiata di sfuggita, chi passi creda di avervi visto acqua e bagnanti. La scaletta c'è, ma senza trampolino; su ogni sdraio è messo un asciugamano dello stesso colore, in modo casuale come se lo avessero gettato lì per andarsi a tuffare, di fianco ad ognuna è un paio di ciabatte, da uomo, da donna, uno anche da bambino; c'è una cabina per cambiarsi, senza porta, e un impianto per le docce, non collegato all'acqua.
D'altronde, anche in cucina e nei bagni manca l'acqua corrente. Ciò benché si fosse costruito l'intero impianto, rivelato da un'indagine tecnologica recente. La casa è talmente ben realizzata che basterebbero pochi interventi per renderla abitabile, anche se mancherebbe dei dispositivi moderni inesistenti alla sua costruzione.
Le camere da letto, situate in diversi punti ai tre piani di cui la casa è composta, hanno armadi che contengono soltanto della naftalina e dei profumatori nei cassetti, rivestiti di vernice perché non si consumino; ci sono appendiabiti, senza alcun abito appeso. Fa eccezione una camicia, anch'essa plastificata; è di gusto mediocre e le manca un bottone dei polsini. I letti sono fatti ma con una scatola di cartone al posto del materasso. Ci sono vasi da fiori senza fiori, scarpiere senza scarpe, specchiere senza specchi ma con i soliti dipinti, raffiguranti in modo approssimativo ciò che un vero specchio mostrerebbe.
In diversi ambienti sono radio, televisori, impianti video e musicali, svuotati d'ogni componente. Le prese sono attaccate ma manca la corrente; non quella delle luci, però, che danno curiosamente un tono caldo ad ogni locale, con colori differenti a seconda dell'arredamento.
La stanza più grande, a parte la sala da pranzo, è uno studio arredato in modo assai austero: mobili scuri di legno massiccio, tendaggi alle pareti, tappeti, un caminetto. I mobili sono però cavi, e scostando i tendaggi scorgiamo muri grezzi, non intonacati; il caminetto ha ceppi di plastica molto ben fatti, che alla tenue luce delle lampade da tavolo, costituenti l'unica illuminazione, sembrano affatto autentici. Sulla scrivania sono disposte penne assai costose, stilografiche e calamai, il tutto senza la minima traccia d'inchiostro, fogli di carta con intestazioni di fantasia recanti nomi di alberghi, studi professionali, aziende; un calendario di un anno bisestile è incollato a febbraio ma mancano i nomi dei giorni e il numero dell'anno. Di fianco è un computer, ormai di modello antiquato, che al posto dello schermo ha un vetro, dipinto con i colori di un programma finanziario. Su un tavolino laterale è l'involucro di un registratore. C'è una cassetta dentro, ma nessuno sa dire se contenga del nastro registrato. Nonostante le molte insistenze, i curatori della casa hanno finora impedito indagini. Esiste una leggenda, secondo cui il proprietario avrebbe lì deposto un messaggio che spiegherebbe il motivo di tutta la sua creazione, o la chiave per decifrarne un segreto.
I tre cassetti del tavolo contengono: un grosso tagliacarte, quasi un coltellaccio; un'agenda priva di tutti i fogli; una risma di carta ingiallita.
Le finestre sono chiuse ermeticamente e tutto dà un senso di oppressione.
Ci sono altri locali assai luminosi, invece, come un soggiorno sul lato sud-ovest al terzo piano, con bei mobili di legno chiaro, una libreria e un tavolo con il ripiano di cristallo su cui è posto un accendisigari scarico. Finti libri e finti vasi danno ancor più viva l'idea di vuoto dell'ambiente, mentre una grossa cornice ospita nient'altro che una piccolissima fotografia ritagliata da qualche rivista, rappresentante un bel castello in mezzo ad un giardino all'italiana. Sul tavolinetto di fianco al divano è una cornice su cui il solito pittore dipinse il volto del proprietario insieme a quelli di tre personaggi di fantasia. I quattro guardano avanti, sorridendo; uno regge in mano una coppa da champagne, simile a quelle che si trovano nel carrellino di fianco alla finestra, pieno di bottiglie vuote dai molti colori. Aprendo l'armadio, si è sorpresi dall'unico specchio della casa: l'improvvisa vista di se stessi quasi equivale alla comparsa di un fantasma.
La casa è coperta da una terrazza adibita a giardino. Il prato finto è ormai scolorito, i vasi sono pieni di biglie colorate a mo' di terra per alberi in materiale sintetico, qua e là sono disposti attrezzi da giardiniere e pochi mattoni: sembrano portati per riparare un'aiuola, al cui centro è una fontanella asciutta con lo spazio per dei pesci ovviamente assenti, a parte uno di plastica di pessima fattura.
La sensazione di estraniazione è aumentata dalla vernice trasparente che ricopre e protegge molti oggetti all'interno per evitarne il degrado ambientale. Dalle finestre, per più di un chilometro in ogni direzione, si stende un paesaggio brullo, null'altro che sabbia a far le veci del parco e appena un'altalena isolata.
Di notte si accendono le luci tutt'intorno nel vuoto, mentre il frontone è illuminato a dare l'apparenza di una casa di gran lusso. Per il resto, il panorama non offre che vedere; soltanto il recente sviluppo urbano ha aggiunto alcune costruzioni allo sfondo.
In tutta la casa non c'è un solo orologio.

 

Il proprietario visse lì, o meglio, nelle adiacenze, per tre mesi. Si cucinava dei tosti su un fornello da campo, dormiva sui divani al secondo piano e si serviva dei campi attorno per i bisogni. Dopo un periodo di abbruttimento solitario, tornò nel suo appartamento di New York e riprese la vita da magnate che conduceva prima, rifiutandosi sempre di dare spiegazioni sulla casa e sugli avvenimenti connessi. In tarda età si ritirò dagli affari e prese la cittadinanza francese, vivendo principalmente in una zona di verdi colline del sud.
Non ritornò più alla sua casa finta che subito divenne meta di curiosi affidata in gestione, e poi donata, all'amministrazione locale. È ora una delle maggiori entrate per quella comunità.

 

I visitatori del complesso sono ammessi in gruppi di non più di cinque persone; due accompagnatori badano che nessuno tocchi, né tampoco manometta, alcunché. Il giro è stabilito con precisione rigorosa, dalla sequenza delle stanze a ciò che dei mobili può essere aperto. Sono vietate riprese ma è concesso un numero ridotto di fotografie. Si entra solo su prenotazione; la lista è lunga e comporta un'attesa media di due anni.

 

Fra i ciceroni è alto il numero di depressioni e nevrosi; sembra che, rispetto alla media della categoria professionale, sia alto il numero dei suicidi. Anche fra i visitatori pare frequente il caso di disturbi, talora a mesi dalla visita; le solite leggende narrano pure di esagitati che avrebbero cercato di scoprire passaggi segreti, o di costringere le guide a mostrar loro determinati ambienti. Naturalmente, qualcuno ha già scritto un libro nel quale si pretende, tirando in ballo i Templari e Atlantide, di rivelare arcani messaggi nella costruzione.
La maggior parte dei turisti avverte invece un disagio ogni volta che si apre una porta o un'anta, sembrando loro di turbare l'immobilità dell'insieme. Altri, riconoscendosi in ambienti simili alle loro case, riportano il fastidio di stare visitando un museo di loro stessi.

 

L'uomo che la concepì è morto alcuni anni fa, in una villa di St. Moritz. Lo trovarono semisdraiato su un divano, le gambe larghe, un bicchiere pieno di whisky in mano, uno strano sorriso sul volto, la faccia girata verso un quadro che rappresentava la sua casa finta da una posizione strana, lontano dalle vie d'accesso e a venticinque metri d'altezza.
Del quadro, realizzato in uno stile che non ha niente a che fare con i disegni approssimativi della casa, nessuno conosce l'autore.

 

FINE

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La Casa Altrui

 

Aveva vissuto praticamente in ogni angolo del mondo, apprendendo usi e costumi e credenze di ogni popolo frequentato. Si conoscevano immagini di lui mentre suonava strumenti asiatici, beveva intrugli sudamericani, esplorava sentieri d'Africa e città d'Europa; era stato ritratto con ambasciatori e prostitute, cammellieri e orefici, attrici e santoni. In quasi ogni biografia degli ultimi decenni compariva il suo nome.
Commerciante, uomo politico, inventore, scrittore di memorie e racconti di viaggio, aveva guadagnato fama soprattutto nel far conoscere umani ad altri umani, raccontando i perché e i percome di abiti e leggende, storia e alimenti, guerre e sogni, di ogni popolo incontrato.
Stava spostandosi da un incontro internazionale a Pechino ad un importante matrimonio sulla costa tunisina. Solo per un disguido nei collegamenti aerei, condizionati da disordini nei paesi circostanti, l'apparecchio che lo trasportava fu fatto prudenzialmente atterrare in una città ch'egli aveva già conosciuto. La scelta era fra un'attesa di poche ore per un altro volo, o la ricerca di un mezzo alternativo. Lasciò, senza spiegazioni, il gruppo dei passeggeri, noleggiò l'unica auto di lusso disponibile e partì, aiutato da una mappa.

 

Giunse lì dalla vecchia autostrada che passava a nord. Aveva preso un'uscita secondaria lungo il tragitto e si era fermato, senza apparente ragione, di fronte a quella casetta unifamiliare posta fra non vasti condomini e un mercato. Località tranquilla, era allora soggetta a uno dei ricorrenti periodi di depressione economica che, come vampiri, compaiono qua e là nel mondo a succhiare risorse e risparmi, accumulati faticosamente dopo la crisi, o guerra o carestia, precedente, e che si ricominceranno ad accumulare in vista delle difficoltà a venire.
Passò l'intero pomeriggio scrutandone la facciata, seguendone il poco traffico: un figlio che tornava da scuola, altri fratelli con alcuni amici, un paio di fornitori, infine un uomo che arrivava in bicicletta, la poggiava al suo posto di fronte a casa e rientrava, con un certo anticipo sull'ora di cena.
Solo allora, stabilita una scusa, il nostro protagonista uscì dall'automobile lussuosa, bussò alla porta e si presentò.
Gli aprì una donna dallo sguardo luminoso, i capelli raccolti in fretta per comodità, un abbigliamento semplice da casa, l'aspetto in complesso gradevole e giovanile. Colta di sorpresa dal sorriso accattivante, dal contegno sicuro e convincente dello straniero, lo fece entrare e gli presentò il marito, uomo minuto e serio, seduto nel locale principale. I modi e le parole del nuovo venuto furono tali che in cinque minuti questi era accomodato nel posto migliore, una tazza di tè in mano, gradito ospite, a ottenere notizie sulla famiglia dando l'impressione di essere lui a fornire informazioni.

 

La prima volta non fece alcuna proposta; fu impegnato a rilevare il maggior numero di particolari con la sua ben conosciuta attenzione, e fece in modo di poter vedere ogni stanza. Colse l'occasione dell'invito a cena per osservare la disposizione di ogni oggetto, e riuscì a stuzzicare abbastanza l'interesse dei figli perché ciascuno gli mostrasse i passatempi, per ognuno dei quali sfoggiò la sua competenza da uomo di mondo.
Quando fu uscito di lì aveva ormai conquistato, nella mente, l'ambiente visto; dei componenti la famigliola, aveva conquistato la fiducia e la simpatia. Per essere un personaggio importante e famoso, era cordiale e alla mano, affabile e comprensivo.

 

Un mese dopo, come concordato, si ripresentò loro. Nella rilassata atmosfera dopo il pasto, il discorso si spostò in modo impercettibile sull'ipotesi che allora parve un gioco, finché non sfociò nell'inattesa proposta: vender loro la casa. Ma non solo i muri, né solo l'arredo: tutto avrebbe comprato, la polvere dietro i mobili, un chiodo che spuntava inutilizzato; il modellino solo in parte montato da uno dei figli, la colla poggiata sulla scrivania; un vestito, appena acquistato dalla donna e ancora da sistemare; il bucato nel bagno, la scatola di detersivo, ancora quasi piena; la lampadina comprata quel giorno a sostituirne una fulminata e quella bruciata, ora su un tavolo; la pipa, appena caricata, che l'uomo fumava nei giorni di festa, il nettapipe da pulire; le scarpe alla moda che un ragazzo metteva da poco, un orologio avuto in regalo anni prima, vecchi giocattoli che, ormai non usati, pure non si sapeva ancora gettare. Gli altri protagonisti della vicenda si divertirono nell'enumerazione sempre più dettagliata che li conduceva, loro inconsapevoli, a definire i dettagli di un contratto.
L'uomo lasciò che i membri di quella famiglia lo prendessero per matto, ma non gli importò: aveva saputo far digerire rospi a capi di stato e imprenditori, era riuscito ad armonizzare mentalità ostili, favorire il dialogo in condizioni anche dure, e non potevano certo tenergli testa gli abitanti di una cittadina pacifica e un poco sonnacchiosa, tutt'altro che al centro del mondo. Ben presto seppe diventare, ai loro occhi, un benefattore a cui essere incondizionatamente grati.
Un elemento lo favorì, in maniera decisiva: la preoccupazione della famiglia che le difficoltà economiche potessero compromettere il loro futuro. La folle somma offerta li poteva liberare da ogni guaio paventato. Non fu certo un problema la condizione, posta come irrinunciabile, di farli trasferire altrove, complice l'offerta di un paio di nuovi posti di lavoro.
L'uomo aveva già organizzato ogni cosa: un notaio, restato domesticamente ad attendere fuori, fece la sua tempestiva comparsa con i contratti aperti, informò la famiglia dell'opportunità di traslocare immediatamente, consegnò l'anticipo, una somma tale da fare sgranare gli occhi di tutti, e non ci fu che da firmare; nel giro dei pochi minuti successivi la famiglia fu gettata fuori, certo con molto garbo; c'erano le lettere di assunzione, i certificati di iscrizione dei figli alle rispettive scuole; due auto, una delle quali in regalo, erano pronte con tanto di personale incaricato per accompagnare quelle persone alla loro nuova residenza.
Nel giro di poche ore, l'affare era concluso: la famiglia cedeva all'uomo la proprietà di ogni singolo oggetto situato in quella casa, nella condizione in cui si trovava, non riservandosi di portare che gli abiti indosso. L'abbondante somma ricevuta sarebbe bastata a riacquistare ogni cosa.
L'uomo, concluso l'affare, partì la mattina seguente. Si concesse qualche ora notturna per passare in rassegna la sua nuova proprietà: non toccò nulla, solo fece passare a lungo lo sguardo nei diversi spazi, ancora frementi della vita che li aveva occupati. Dormì in qualche modo nella stanza centrale, usando del suo bagaglio per la sistemazione.
Dopo due mesi tornò e restò lì alcuni giorni. Cominciò le pulizie utilizzando le scorte presenti. Ad un certo punto decise di cambiare scopa e prima dell'acquisto gironzolò per il quartiere. Sotto gli sguardi incuriositi dell'intero paese, consumò un pasto in un localino tipico nei dintorni. Successivamente, imparò la disposizione delle stoviglie quando si fece da mangiare in casa, utilizzando le provviste per farsi piatti nello stile del luogo; storse il naso guardando lo stereo non proprio di lusso, ma fu soddisfatto scoprendo i gusti musicali dell'uomo; così, mentre provava i dischi, passò in rassegna gli album di fotografie e gli abiti negli armadi. Constatò con piacere che molti capi gli stavano bene, pur non essendo particolarmente raffinati, e ne utilizzò alcuni.
Dopo qualche giorno ebbe il raffreddore, cercò nel dispensario e trovò con disappunto qualche medicinale scaduto; passò in farmacia e fece scorta.
Nel complesso, si ritenne piuttosto soddisfatto dell'affare, benché anche a se stesso non spiegasse cosa vi trovava e perché quella casa altrui meritasse un'indagine approfondita in ogni cassetto. Non voleva descriversi troppo di quel che provava, ma gli piacque sedere in ogni punto della casa, là dove i primi abitanti probabilmente si accomodavano, cercando di vedere ogni cosa da un punto di vista estraneo. Passava un giorno immedesimandosi nell'uomo, immaginando come doveva apparirgli il posto dopo il rientro, un altro lo trascorreva nella stanzetta in fondo a esplorare il mondo dei figli; ripercorse una giornata tipica della donna, seguendone tracce nella disposizione domestica e nelle robe sue, come a ritrovare il ricordo e i sentimenti.

 

Nel corso degli anni, andò a passarvi una settimana di quando in quando, inizialmente da solo, ma in seguito cominciò a invitare qualcuno. Si formò un elenco, lungo quanto inattendibile, di persone che sostenevano di essere entrate o aver anche brevemente soggiornato nella casa.
Si comportava, in quei giorni, come fosse vissuto lì da sempre, manifestando dimestichezza con la situazione; si faceva il bucato, preparava i pasti, tutto con semplicità, ma d'altra parte era abituato a vivere dappertutto e in ogni condizione. Col tempo, fece la conoscenza di parecchi vicini e negozianti della zona. Si era portato il necessario per il suo lavoro di scrittore e compose in quella casa molti dei libri e articoli con cui si guadagnava pane e companatico; scritti in cui raccontava di isole tropicali e giungle, foreste e ghiacci da lui visitati nel resto dell'anno.
Col tempo, sostituì alcuni mobili e mise da parte qualcosa, ma in genere non rimosse nulla di personale anche se non necessario, come se i vecchi abitanti potessero ritornare in qualunque momento e chiederne conto.
Costoro, superato il disorientamento e cominciando a dare scontato il benessere raggiunto, scoprirono che il passato faceva sentire il suo peso e cercarono di tornare in possesso di alcune cose di poco conto ma tanto importanti; il contratto firmato, però, parlava chiaro e non riuscirono ad aver nulla restituito.
Il figlio minore ricomperò il modellino lasciato a metà e lo completò in tempi ristretti, tutti si procurarono un nuovo guardaroba e ogni oggetto necessario, l'uomo ebbe in regalo una pipa sontuosa completa di accessori e tabacco fine, ma continuarono a lamentarsi con i nuovi amici per le cose che avevano dovuto lasciare le quali, nei loro discorsi, sembravano insostituibili.
Il nostro personaggio non sfuggì la curiosità, purché a debita distanza; nel corso delle sue visite alla casa lasciò che cronisti e curiosi lo riprendessero, per la strada o anche attraverso le finestre, ma ad essi non permise mai l'accesso. Ogni tanto fece capire, a pochi intimi, che là passava gli unici periodi tranquilli dell'anno, per converso turbando non poco la vita del paese stante il piccolo esercito di guardie del corpo che circondavano l'abitazione, ma col divieto tassativo di entrarvi, e la folla di coloro che speravano in qualche modo di riuscire a non farsi i fatti propri.
L'uomo si muoveva ormai in quella casa con disinvoltura. Restava però facilmente a guardare qualche oggetto, il contenuto di un mobile, una lampada, come se cercasse di ricordare qualcosa o lo vedesse improvvisamente, sorpreso. A chi gli domandò, una volta, a che pensasse, borbottò qualcosa come: "Un oggetto nel suo mondo".
In contrasto al turbine di avventure e pubbliche relazioni di cui era abitualmente protagonista, viveva là quasi come un pensionato. Ogni volta ne ritornava leggermente placato, un poco più lento nei modi e sorridente.

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La storia si protrasse per alcuni anni. Un'amica determinò la fine esclamando, un'ora dopo essere entrata: "Questa casetta deliziosa rispecchia proprio la tua personalità!". Alle proteste del suo ospite, che le faceva notare come fosse stata acquistata in blocco così com'era, espressione di altre vite, la donna gli mostrò i molti interventi prodotti dal suo vivere costì, tali da assimilarne il carattere al suo.
A pochi mesi dall'episodio, fu proposto alla famiglia di riprendere possesso della casa. Essi accettarono in tutta fretta. Rinunciando alla ormai stabile sistemazione, senz'altro favorevole, e con un cospicuo aiuto economico, avviarono una piccola attività commerciale, il figlio grande trovò un lavoro, e si riappropriarono di vecchi muri, vecchi mobili, vecchi abiti, con entusiasmo e gratitudine.
Ciò almeno nei primi giorni. A tutti gli amici ritrovati, in seguito, raccontarono quanto si stesse bene altrove, e come tutto ormai fosse inadatto alle mutate esigenze della famiglia cresciuta.
Manifestarono anche il senso definitivo di perdita, i figli soprattutto, nel ritrovare oggetti a lungo rimpianti e non più adeguati; ricordi dei quali avevano patito la mancanza, riavuti troppo tardi per riaverne l'intimità.

 

FINE

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La Casa Sbagliata

 

Un artista portoghese, noto oggi più per gli aneddoti che per le opere, ha costruito anni fa una casa "sbagliata".
L'uomo aveva da poco acquisito un rapido successo mondiale per l'interesse che un cineasta giapponese aveva dedicato alla sua produzione. Il suo reddito si era moltiplicato e s'erano espansi i suoi interessi, già molteplici al limite dell'affastellamento.
Così, entrò in contatto con una scuola del buon vivere, come sono di moda ancora oggi. Secondo i suoi esperti, la costruzione di una casa era compito di chi ci doveva abitare e non di tecnici (parola sempre usata spregiativamente) ai quali si doveva affidare, al più, il compito di realizzare praticamente ciò che lo spirito creativo desiderava imporre alla materia. Troppi gli antenati di un simile pensiero per citarli qui, e il dibattito è ancora acceso.
L'artista dunque si fece costruire una villa in cui ogni normalità è bandita in nome, si presume, del suo senso artistico. Il fatto che ci abbia vissuto per non più di due mesi non tragga in inganno...
Avvicinandosi alla proprietà si notano le prime stranezze. La larghezza è minore alla base che al secondo piano, come due solidi irregolari spaiati, spigolosi, assurdamente adornati da una torretta curvilinea troppo alta e sottile rispetto al resto.
Non si notano, e forse non ci sono, due finestre simili.
Di fianco alla porta d'ingresso è una targa che, in versi piuttosto liberi, dice all'incirca:

 

"Questa è la Casa Sbagliata,
per le sbagliate tue convinzioni.
Questa è la Casa Più Giusta
per le più giuste ambizioni".

 

Poiché l'autore non era solito esporre sistematicamente le proprie ragioni, avendo poco scritto benché spesso parlato, della natura esatta di tali ambizioni non si ha traccia, l'opera complessiva del maestro essendo inoltre, ormai, niente altro che materia da esperti d'arte; la Casa Sbagliata è perciò il nome prevalso.
Entrando ci si trova in una cucina. L'artista l'aveva messa lì, disse, in segno di benvenuto a chiunque, per recuperare la perduta ospitalità dei popoli antichi
Sebbene l'intenzione sembri buona, la soluzione pare inadatta. Ma questa è anche l'unica spiegazione in nostro possesso su quella casa. Per il resto, tutto in essa è anzi privo di ragione, almeno della ragione per cui ogni ambiente esiste in una casa.
Dalla cucina si passa, tramite uno stretto ripostiglio, allo studio del pittore. Il suo interno è tuttora occupato con tele, cavalletti, attrezzatura varia, nonché da un angolo riposo simile a quelli che l'autore preparò in altre sue abitazioni; nei periodi di intenso lavoro, andava a sdraiarsi accanto alla sua opera, pronto a riprenderla non appena sentiva un'ispirazione.
Lo studio è contornato da finestre delle quali però solo una, ampia, dà all'esterno. Le altre sono montate sui muri e attraverso di esse si contemplano abbozzi e schizzi.
Due porte conducono ad altrettante scale. Una breve, in discesa, porta a una piscina semisotterranea. Da qui si risale fino ad un salone a colonne. Negli spazi fra queste, l'artista ha dipinto scene dei suoi paesaggi surreali. Ai due lati opposti stanno: da una parte, un finto cancello con una pittura di esterni; dall'altra, un cancello vero che porta al giardino posteriore, di una normalità stupefacente. D'altronde, l'artista disse una volta che la natura era una artista mancata perché non possedeva forzature né artificio. Ma anche questa frase ci è giunta senza spiegazione e viene oggi usata a sostegno di considerazioni assai divergenti.
L'altra scala, in salita, porta al piano superiore.
È qui che si doveva condurre la vita ordinaria, se non fosse per la cucina al piano terra. Si sbuca in una specie di studio, ma con i mobili disposti in modo inusuale, addirittura una cassettiera da ufficio, in metallo, al centro, da circumnavigare per arrivare allo scrittoio. Al di sopra, un lucernaio a cupola, e sulla parete opposta all'arrivo una finestra con vetri quadrati di vari colori.
Sembra, qui come altrove, che l'intento di ottenere un di più abbia portato, per prima cosa, alla perdita del già posseduto. Quali vantaggi psicofisici si possono ottenere, rinunciando alla normale disposizione dell'arredamento? D'altronde, è forse inevitabile che si debba prima rinunciare per poter giungere ad un progresso.
Dopo lo studio viene un bagno; dopo il bagno, un soggiorno; dopo questo, uno stretto passaggio con una scala a chiocciola porta fino alla sommità della torretta. Qui stupiamo nel trovare un letto posto sul pavimento trasparente. Ci sono finestre dai vetri dipinti nello stile del proprietario, qualche mobile basso e niente più.
Se, invece di salire, si prosegue, una porta si apre su uno strano giardino interno con un chiosco a piccole colonne, una fontanella, delle panchine di pietra e alcuni esempi di sculture dell'artista, il tutto in mezzo a siepi nane. Ogni elemento ha dimensioni ridotte riuscendo a non riempire uno spazio angusto, ma anzi valorizzandolo, almeno dal punto di vista estetico, mentre la fruibilità risulta compromessa...
Al di là del giardino sono tre stanze parzialmente arredate, a fungere da camere. Sul lato opposto c'è un largo terrazzo che dà sul mare. Al di là di questo, aperto su una grande porta-finestra in vetro, un soggiorno e quindi un bagno con servizi completi.

 

L'artista non vi passò molto tempo. Dopo tutto, la sistemazione decisa non deve aver prodotto i benefici attesi. Sembra lamentasse anche la spesa eccessiva, che gli avrebbe impedito una realizzazione completa. Così, l'attributo del nome sarebbe doppiamente giustificato.
La casa è oggi proprietà dell'università di Lisbona. Sul terreno circostante sono presenti tre padiglioni prefabbricati che fungono da laboratori della Facoltà di Architettura.
La casa infatti non è più stata abitata, e riveste soltanto un interesse specialistico per i tecnici tanto aborriti dal vecchio costruttore. All'epoca della sua realizzazione, uno studio internazionale dovette escogitare soluzioni innovative per garantire stabilità alla costruzione, mentre la scuola di buon vivere ispiratrice della struttura è svanita come svaniscono, da ormai diverso tempo, tutte le scuole, particolarmente quelle di grido.
Il suo primo proprietario, come detto, visse là per poco, poi si trasferì ma non ebbe modo di godersi a lungo il successo: di ritorno da un faticoso tour in Giappone, fu investito da un tram a Oporto dopo avere visitato un parente, industriale laggiù. Solo per l'interesse di quest'ultimo la casa non fu abbattuta in tutta fretta dalla locale amministrazione, che aveva osteggiato il progetto.

 

Ma le battaglie intorno alla costruzione non sono finite: da allora, ha spaccato in due la comunità degli addetti ai lavori. Da una parte, ci sono alcuni che enfatizzano la creatività del fenomeno, proponendo un'architettura di frontiera e adducendo il modello a sostegno delle loro tesi; altri, invece, fanno della costruzione un punto di forza delle posizioni opposte, invocando un'architettura fatta di razionalità e misura, benché aperta all'innovazione, anzi come condizione necessaria per ogni innovazione credibile. La guerra si è rispecchiata nelle nomine alla Facoltà, indirizzate a seconda dei venti a favore di esponenti di uno schieramento o dell'altro.

 

Recentemente, un economista indiano ha indicato la Casa Sbagliata come un esempio quasi Malthusiano: in gioco non è la crescita della popolazione, ma il prosperare delle idee. Adattando il concetto di "meme", ha sostenuto che il limite della disponibilità alimentare condiziona anche questo. Naturalmente, i memi si alimentano di prodotti mentali, così come gli esseri biologici si alimentano coi prodotti della terra.
Perciò, se il benessere psicofisico è condizione per l'espressività intellettuale, e quello è condizionato dalla scarsa disponibilità economica o da un "humus concettuale" ostile, ecco che i memi non trovano, nel substrato dell'ospite biologico, nient'altro che una stentata sopravvivenza.
L'autore avanza una tesi che darebbe conto di "degradazioni evolutive" dei memi stessi, proprio a causa dell'implementazione inadeguata. Purtroppo, oltre alle citate difficoltà nella realizzazione della Casa Sbagliata propone un solo esempio, il nazionalismo: dall'ideale romantico alle derive autoritarie e razziste. Benché suggestiva, l'esposizione manca della sistematicità di altre sezioni dell'opera.

 

Sebbene certi fatti siano strettamente connessi alla temperie culturale del momento, sorge il dubbio se non manchi talora un sano calarsi nel "fatto", quando si tratta sia di valutarlo, sia di estrarne concetti. Partire dal pensiero e quindi imporlo all'oggetto dell'azione, a rischio di risultati aberranti, fa pensare a certo idealismo agli antipodi di ogni metodo sperimentale, soggetto a nessun altro vincolo che il volere del momento. Ci si domanda se i suoi prodotti possano ergersi ad armi pari con quello di altre epoche, in cui il peso della materia coinvolta nei processi non mancava mai di dire la sua sulle modalità di realizzazione. D'altronde, potrebbe benissimo essere il segno di tempi nuovi in cui, per via del progresso tecnologico, si possa inseguire ogni sogno con buone possibilità. Ma sulla plausibilità di queste speranze, i secoli hanno già messo in guardia.

 

FINE

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La Casa Vuota

 

Una pagina internet curata dal Ministero della Cultura neozelandese è stata fra le più visitate del mese, sbaragliando la concorrenza anche senza alcuna pubblicità e con un contenuto estraneo alle banalità di successo della Rete: manga giapponesi, foto di modelle, suonerie e quant'altro. La grafica è priva di effetti speciali e immagini accattivanti; il successo dovuto al passaparola informatico, che ha portato alla ribalta una scoperta archeologica altrimenti destinata a sprofondare nel mare delle stranezze di dubbia credibilità. L'interesse mondiale non ha riguardato solo i fanatici del mistero ma, data la fonte autorevole, anche studiosi di ogni Paese. Ebbene, qui vi riportiamo la storia contenuta nel sito.

 

In un'isola dell'Oceania la cui attribuzione politica è sempre stata incerta, su una scogliera a ridosso di una piccola baia inadatta agli sbarchi, in un ripiano orientato verso la roccia che sale fino ad un picco tondeggiante, è stata trovata casualmente una costruzione di origini ignote.
L'isola si trova abbastanza lontano dalle rotte normali, di oggi come ieri, ed è egualmente lontana dagli arcipelaghi più prossimi, tanto da avere talora posto problemi di attribuzione, con le conseguenti incertezze diplomatiche. Si fosse trattato di un'isola più grande, o più ospitale, o dotata di spazi per l'attracco anche di qualche barca, ci sarebbero state le condizioni per una occupazione militare e qualche scontro in mare aperto, ma si tratta di uno scoglio per il quale l'aggettivo "brullo" suona eufemismo; i suoi contorni scoscesi non si prestano alla scalata; non c'è, o così si credeva, alcuno spazio in cui disporre le eventuali artiglierie. Ha perciò trascorso nel disinteresse periodi ancor più bellicosi dell'attuale.
Solo recentemente alcune foto satellitari, prese con tutt'altro intento, hanno rivelato la presenza di una costruzione complessa che ha gettato un'ombra di mistero sull'isola e, a questo punto, su tutta la vasta zona di mare in cui sorge.
I pochi archeologi che l'hanno visitata, dopo la scoperta, sono dovuti scendere da un elicottero della marina militare neozelandese, il cui governo rivendica il possesso del luogo. A causa dello spazio ridotto, non è stato ancor possibile condurre ricerche approfondite.
Dalle prime indagini, dunque, risulta che la pietra di cui è fatta la costruzione è la stessa che compone tutta l'isola, una pietra di colore uniforme, non troppo solida, che non risulta essere mai stata usata da alcuna popolazione, in tutto il continente. La sua composizione la rende molto chiara e là, nel sole abbagliante dei tropici, sembra anche illuminata. Gli studiosi riferiscono disturbi alla vista dopo alcune ore di lavoro.
D'altronde, non c'è molto da vedere, ma quel poco può turbare molti sonni. La costruzione è infatti composta quasi esclusivamente da muri perimetrali, senza alcuna forma di copertura. Non ci sono infissi né traccia che ce ne siano mai stati.
La strana casa si forma intorno ad uno spazio quasi rettangolare diviso in cinque stanze maggiori, ciascuna con due porte, nient'altro che aperture bene squadrate nei muri. Ci sono anche passaggi ridotti che conducono ad ambienti secondari posti tutto intorno, di dimensioni e struttura variabili.
A sud, sul lato verso il mare, a ridosso di una cresta che nasconde ogni cosa al naviglio in transito, è una sezione di sette, forse più, abitacoli cubici, messi in modo disordinato, che si visitano secondo un percorso obbligato fino all'ultimo la cui parete finale, contro la roccia, è ricoperta dai detriti di un crollo che non ha permesso di sapere se la costruzione continua nella pietra.
Verso l'interno dell'isola, in direzione nord, si apre un corridoio diritto, pure senza copertura, il quale conduce ad una sala di pianta perfettamente rotonda in cui si aprono, sul vuoto circostante, ben sedici porte, dando l'impressione di essere all'interno di un colonnato. Da nessuna di queste, uscendo, si nota accenno di altra costruzione; ci si ritrova stretti fra questa sala e la parete quasi verticale che conduce alla vetta dell'isola.
Sugli altri due lati si ammucchiano ancora cubicoli, con passaggi ridotti su tutti e quattro i muri, cosicché non c'è un percorso preferenziale o un termine della serie. La loro disposizione appare tanto disordinata da stimarsi casuale.
In alcuni di questi ambienti le uniche variazioni: dai muri si allargano basi quadrate, a formare come dei sedili in pietra. Sul lato est, inoltre, un buco quadrato nel pavimento porta a tre spazi sotterranei, in tutto simili a quelli esterni.
A parte la sala a colonne, l'unico accesso sembra essere un ulteriore cubicolo, posto a sud-ovest, con una porta che dà all'esterno e un'altra che conduce a una delle sale centrali.
Ad aggiungere l'elenco delle stranezze, le dimensioni. Le sale maggiori hanno infatti muri alti circa un metro e mezzo; le porte maggiori sono alte settanta centimetri. I cubicoli hanno muri di un metro e passaggi di cinquanta centimetri. I sedili, o presunti tali, servirebbero a persone alte non più di quaranta centimetri.
Il livello superiore di ogni muro, gli architravi, le porte, tutto è perfettamente squadrato, tanto che in pieno giorno è difficile distinguere i punti di giunzione delle pietre. La perfetta costruzione contrasta con l'apparente disorganizzazione della pianta complessiva.
Tutto è anche stranamente vuoto; i pavimenti sembrano ripuliti con cura da ogni scoria o sasso. Fanno eccezione due particolari: un rialzo al centro di una stanza grande, come la postazione di un lanciatore di baseball, e una struttura, minuscola, che potrebbe essere una statua consumata dal tempo, in mezzo alla sala a colonne. L'assenza di tracce di erosione in tutto il resto della casa, però, farebbe supporre che si tratti di una specie di gnomone, ma per segnare cosa nessuno immagina.
In difetto di qualsiasi reperto organico è stato impossibile datare la costruzione. L'assenza di incisioni, pitture, attrezzi di qualsiasi genere, impedisce di fare la minima ipotesi sui costruttori, non trovandosi elementi di somiglianza con altri fabbricati.
Buio fitto anche sull'utilità della casa: gli ambienti sono privi di caratterizzazioni che possano distinguerne l'uso. Anche l'ipotesi che si tratti di un semplice deposito sembra da scartare per l'inagibilità.
Manca pure qualsiasi indizio a suggerire il modo in cui le pietre potrebbero essere state portate lì e montate, né si capisce da dove vengano, dal momento che non ci sono all'intorno segni di scavo.

 

Una squadra di astronomi, incaricata dal governo neozelandese, ha escluso che la struttura rispecchi qualche formazione stellare. L'asse principale non è allineato con qualche punto cardinale, presente, passato o futuro. Non ci sono nemmeno isole abbastanza prossime che siano disposte in qualche posizione significativa.
L'orientamento del ripiano permette una insolazione costante per quasi tutto l'anno ma, da un primo studio, le ombre prodotte dai muri non darebbero indicazioni significative.
Qualcuno ha provato a tracciare disegni seguendo la posizione delle porte, altri a mettere in relazione i sedili, ma non si è trovata una forma degna di attenzione.
L'elaborazione computerizzata delle foto satellitari non ha rilevato alcuna radiazione, mentre un esame ai raggi X non ha scoperto, nei muri esaminati, irregolarità della pietra e neppure oggetti o cavità. Le uniche due protuberanze del pavimento hanno suscitato molta attenzione, naturalmente, ma non hanno fornito indizi.
A strana contraddizione con il vuoto di elementi, o forse proprio per questo, la zona è ora costantemente pattugliata da navi militari che impediscono ogni avvicinamento. Corre voce che si stiano facendo rilevamenti sonar per distinguere eventuali altri picchi ora sprofondati, con indizi tali da chiarire il mistero.
Oltre ai disturbi visivi già segnalati, gli archeologi riferiscono di avere provato un senso di ansia sin dal primo minuto, mentre il silenzio del posto li rendeva particolarmente attenti ad ogni minimo rumore da essi stessi prodotto. La pavimentazione levigata non faceva risuonare i loro passi. Dicono di avere percepito un leggero rumore costante quasi al di sotto della soglia di udibilità, ma non è stata fatta nessuna registrazione.

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La pagina web, all'indirizzo www.oren.oce.nz/situs/, è avara di fotografie della località o della costruzione ma contiene piantine e descrizioni in uno stile asciutto e accademico, con inviti a fornire suggerimenti. C'è anche un modulo per comunicazioni. A fianco, unica concessione alla frivolezza, è il disegnino di un buffo alieno; un fumetto segnala che non saranno prese in considerazione rivelazioni di tipo religioso o teorie basate su metodi parapsicologici.

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FINE

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La Casa Piena

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Vivo in un appartamento piccolo, alla misura d'un pensionato senza tanti mezzi ma nemmeno troppi problemi. Tre locali, in realtà due con una divisione non dichiarata, ma certo non mi sogno di condonare alcunché. Ci vivo da solo, e prima ci ho vissuto con mia moglie.
È una casa infestata dai fantasmi. Lo so, perché quasi riesco a vederli, mentre spesso li sento presenti. Là presso il buffet, per esempio, sta la zia Adele che ce l'aveva lasciato in testamento; è ancora tutta intenta a curarlo, benché all'interno siano da tempo cose diverse dalle sue. Sulla soglia del soggiorno in genere c'è mio fratello Luigi, il maggiore. Se ne sta imbronciato, come sempre disapprovando; non mi ricordo un solo episodio in cui abbia dato benestare a qualcosa, qualcosa purchessia, senza almeno sbuffare un po'. In camera da letto stanno numerosi: i miei genitori intorno al letto, mia moglie poco discosta, il nostro primo figlio, morto da piccolo, rintanato quasi dentro all'armadio. I miei sembrano occuparsi d'altro, dialogando fra loro; credo sia perché certe questioni, a schiarirci le idee di giorni antichi, sono state affrontate e superate da tempo. Si trovano qui solo per la tenerezza. Mia moglie, invece, mi guarda (ma quando non la guardo) con un certo occhieggiare curioso, come le volte in cui ero intento a qualche mia faccenda, lei a tenere il fiato per non distrarmi. Non sapeva che lo sapevo, ma spesso decisi che fare di un lavoro proprio nella misura dell'approvazione che mi sentivo dietro. Il nostro piccolo è curioso e osserva quel che faccio per capire ogni gesto. Il suo interesse è simmetrico al mio, nel domandarmi come sarebbe diventato. Alle volte mi pare che impercettibilmente, al ritmo di un mondo diverso, stia crescendo davvero; altre volte mi pare di sentirlo finalmente cresciuto, come se la mia frequentazione l'avesse nutrito di pensieri.
La cucina è il luogo in cui l'intromettersi è maggiore. Tutti gli spiriti vi passano, mi distraggono mentre guardo la televisione, mi scrutano quel che mangio.
È per questo, credo, che ci passo molto tempo: devo ammettere che almeno sentirmi importunato è una variazione alle mie giornate, molto più che non uscire per leggere il giornale al bar, o fare la mia passeggiatina nel pomeriggio.
Le sagome che si affollano quando guardo la televisione sono le più strane. Non riesco a capire se sono lì per me o per lo spettacolo; vanno semplicemente aggrumandosi, sommate alle ombre della luce elettrica, giallina e flebile. Dovrei cambiare la lampadina, ma ho paura di disturbare.
Quando sono in bagno colgo poco, giusto qualche movimento ai confini dell'occhio, a confondersi con le mattonelle screpolate. Fu mia moglie, l'anno prima di morire, a sceglierle di quel colore indeciso, come dipinte a macchie, e ci trovava dei disegni che io non vidi mai. Ora disegni, crepe e fantasmi si affollano tutti insieme, ma non ne so riconoscere i particolari.
Non fanno rumore, gli spiriti che riempiono l'appartamento. Non posso nemmeno dire di vederli davvero: è come un sentirli, pensieri espansi in modo visibile.
Due notti fa, mi sono svegliato; io dormo poco, ormai. Era presto, ancora tutto buio, e mi è sembrato che il fantasma di mia moglie, il solo presente, fosse tanto vero da poterlo toccare. Io però ho avuto paura, perché la vita ha le sue leggi e anche la morte, suppongo. Così, ho lasciato che la sua immagine si sfocasse nel sonno. È stata la sola occasione in cui ho pensato di poter prendere davvero contatto con l'aldilà.
Invece, ho vissuto certi arrivi come un fastidio. A mio cugino, che anche da vivo la metteva sempre sul patetico, ho gridato, una sera: "Se volevi restare, bastava che non morissi!" Mi sono pentito di avere urlato così, temendo che qualcuno mi sentisse dagli altri appartamenti. E poi mi è anche spiaciuto di prendermela con lui. In realtà ce l'avevo con un personaggio del telefilm, ma la situazione gli era congeniale, tanto che non mi sono stupito di vederlo lì a fare il verso all'attore.
Da pensionato, non mi posso permettere nulla di nuovo. Tutto sta nel vedere se si rompe prima il televisore o il femore, la lavatrice o il reticolo dei capillari, e le lampadine sembrano bruciarsi al ritmo della mia acidità di stomaco, o del calare della vista, o dei disturbi che ancora narro al dottore, tanto per vedere qualcuno. Mi tratta con una bonomia che riterrei offensiva, lui tanto giovane; ma proprio perciò non può essere al corrente delle buone maniere, dato che oggi si comportano tutti fra loro come dei compagni di classe ritardati. E poi sembra che i vecchi perdano di condizione sociale.
Una sera, mentre mangiavo, mi si è presentato un collega dell'officina dove lavoravo. Agiva come in vita, con sufficienza nei miei confronti perché aveva studiato. Gliele ho cantate chiare, fra un boccone e l'altro, ma gli ho anche offerto un bicchiere. Era nient'altro che un soffio, non poté accettare.
In fondo, se non parlo con le ombre, finisco per dimenticare anche le parole. A fare la spesa ci vuole poco; al bar parlano solo di calcio, sport che ho sempre detestato. E i vecchi che incontro si comportano... da vecchi, ecco.
I fantasmi invece appaiono come le persone che erano, e siccome da vivi erano qualcosa di meglio, ne traggo il ricordo di come ci si regola quando si ha una vita da vivere, anche se di alcune delle loro vite non so raccontare granché.
Sono ancora qui a spronare un altro cugino, come mi capitò di fargli una sola volta da vivo perché non ne potevo proprio più di vederlo così rinunciatario, vittima degli eventi. E nel farlo, lo facevo vittima anche io. Ora però cerco di usare un tono meno aggressivo, fare delle proposte concilianti; senza successo, pare. O forse un fantasma non può essere diverso da com'era la persona viva.
Il prete dice che nell'aldilà si può solo aspettare che il purgatorio finisca, e al massimo sperare nelle preghiere dei vivi. Io non sono bravo con le preghiere, ma spero almeno che la mia attenzione vada a favorire i poveretti come quel mio cugino.
Mi preoccupa un poco di vedere la moglie, o il figlioletto, o la mamma. Pensavo che le persone buone andassero in paradiso direttamente, ma chi può sapere come funzionino queste cose?
Comunque sia, mi fa piacere ritrovare qualche spirito. Soprattutto quando sono fuori e penso alla mia casa inverosimilmente piena, il mio vagare anonimo si rallegra. Conosco diversi miei coetanei, e anche gente più giovane, che si lamentano della loro casa vuota e preferiscono elemosinare attenzione fuori. Penso che abbiano davvero perduto il loro passato. Io, al ritorno a casa, amo ritrovare questi muri ingrigiti, certe ridicole abitudini incrostate dal tempo, ma è roba mia; amo le immagini confuse che mi si formano sulle retine, finché queste avranno voglia di servirmi, e per allora, forse, riuscirò a vedere con altri occhi.

FINE

Una casa fatta di storie altrui, da scoprire vivendoci. È possibile comperare ricordi, perché diventino i propri?

La casa altrui
La casa sbagliata
La casa vuota
La casa piena
Ufo
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