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Volo notturno

Luciano non parla. Tiene gli occhi socchiusi, intento, alla finestra, oppure sbava dalla bocca semiaperta, lo sguardo fisso sulla porta della cameretta. Quando lo portano nello stanzone che fa da cucina, soggiorno, laboratorio e camera da letto della nonna, lancia un'occhiata all'ingresso, poi segue diligente chi l'accompagna fino al tavolo dove si mangia, si studia e si gioca, e i suoi occhi prendono a muoversi ma senza fissare nulla.
Non sembra interessarsi ai giochi dei fratelli piccoli, al lavoro dei grandi, alle donne che cucinano. Segue traiettorie vaghe, scorre lungo gli anni registrati nel vecchio legno del tavolo, presso le pentole appese, sulle tende alla finestra, per le travi di sostegno nere di secoli e fumo.
Luciano ha dodici anni e non ha mai parlato veramente. A tre anni sembrava un bambino normale, ma pronunciava pochi suoni e quasi nessuna parola completa. I suoi, sospettandolo sordo, lo fecero visitare da un dottore di città, il quale però disse che il piccolo ci sentiva anzi meglio della media. A una visita neurologica il medico affermò che la sua intelligenza era in linea con l'età, benché fosse costantemente distratto.
Ma Luciano non andò più avanti di così. Un giorno di quell'anno, l'anno in cui si temette l'alluvione per la primavera repentina che aveva sciolto in anticipo ogni neve, il piccolo Luciano, dondolandosi vivace su una sedia, aveva chiamato: "Mamma, papà! Mamma, papà!". I suoi lo avevano guardato stupiti, aspettando altre parole, ma Luciano puntava lo sguardo nuovamente oltre la porta aperta; richiamato più volte, agli adulti preoccupati aveva fatto segno di sì col capo, poi s'era girato nuovamente, aprendo le braccia come a prendere il volo ed era rimasto così fermo, l'espressione soddisfatta.
Da allora non ha detto quasi nulla, e per ciò che ha intorno mostra un interesse occasionale e volatile. Continua a farsi aiutare per vestirsi, mangia da solo quasi decentemente, ogni tanto lo coglie l'agitazione, saltella mollemente per la stanza o nel cortile appena fuori, muovendo le braccia come due ali. Brevi voli solitari e poi ritorna la quiete.
La numerosa famiglia del cascinale, gente pacifica, vuole bene a Luciano e sempre qualcuno dei fratelli e sorelle più grandi si incarica di portarlo con sé, alla stalla o ai campi, sotto gli alberi da frutto, nel granaio. Quando vanno in chiesa tutti insieme Luciano è con loro, non segue la cerimonia ma continua a muovere gli occhi, seguendo chissà quali pensieri a sfiorare le panche, le colonne di pietra, l'altare e le statue di gesso. Là dentro, eccezionalmente, allunga una mano a toccare qualcosa: il piede d'un santo, la voluta di un confessionale, un quadro di Madonna assunta cogli angeli.
Per il paese e la campagna, segue pacifico i familiari. Vicino casa, se una capra passa col pastore, o mucche vanno al pascolo, o conigli sono condotti nella stia, Luciano si avvicina per fare qualche tratto con loro; lo lasciano fare perché sanno che tornerà subito. Gli piace chinarsi sui fiori dei campi; unisce le mani sopra di loro in un accenno di carezza.
In famiglia preferiscono che non s'allontani da solo, ma a Luciano piace passare gran tempo nella stanza al piano di sopra. Ogni tanto qualcuno della famiglia sale; per il gioco, per le pulizie, per vedere come sta. Luciano sta fermo e non parla, qualche volta ha le braccia allargate, le dita tese.

 

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Luciano è fortunato: in una famiglia numerosa, con ampi spazi, troverà aiuto senza scomodare l'intervento maldestro di indifferenti servizi sociali.
La sorella maggiore, Carla, dice sempre che si sposerà con qualcuno solo se accetterà Luciano in casa. Dato il suo carattere deciso, nessuno dubita che ci riuscirà.
La vita in paese e nei dintorni trascorre tranquillamente. Una certa apprensione venne, allorché corse la voce di espropri per la realizzazione del cosiddetto "nuovo polo industriale". Non se ne fece niente, un po' per l'opposizione degli abitanti, un po' perché furono presentati progetti alternativi di sviluppo, e un po' nessuno seppe come.
Tutto sembrò cambiare quando i costoni di alcune colline mostrarono preoccupanti segni di cedimento, al punto da indurre molti a cercar sicurezza altrove; dopo pochi mesi gli smottamenti cessarono e anzi, con un contributo pubblico si poterono impiantare nuove coltivazioni e ognuno ritornò, portandosi appresso qualche famiglia di fuori. Il caso volle che parecchi nuovi venuti facessero amicizia con i familiari di Luciano, coinvolti in quasi ogni attività economica del paese, e da quel momento il ragazzino trovò molte più facce sorridenti ad accoglierlo, quando lo portavano in paese per le feste.
Luciano è l'unico della zona con questi problemi, ma il Comune ha trovato modo ugualmente di inserirlo in attività educative con i giovani.

 

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Luciano dorme poco. La notte, in casa e all'intorno è un silenzio assoluto, rotto dal sordo passo dei pochi animali svegli. Sta attento ad ogni rumore, perché gli viene molto facile di sentire ogni cosa, mentre non riesce a dire nulla se non elementare: chiamare i genitori, i nomi dei parenti o degli amici, qualche volta il nome di un animale ma lì già si confonde. Ha sempre sentito parlare, e invidia chi riesce a dire parole capaci di cambiare le cose.
Luciano può solo stendersi sulle cose per proteggerle, e ritiene con questo di aiutare. Mentre quasi tutto dorme sulla terra, Luciano è sveglio e stende le braccia, stende le sue ali come di un pipistrello, e sente di potersi sollevare sulla casa in cui vive, sui campi, sul paese tutto fino ai colli più lontani. Allora cerca di orientarsi, in quel mondo oscuro talmente diverso da quello del giorno, ma i suoi occhi presto s'abituano e anzi una luce diversa illumina ogni cosa, mostrandone quanto nessuno, con occhi normali, può vedere.
È così che ha scoperto le tane degli animali scavatori, quelli i cui suoni udiva da sempre senza saperseli spiegare.
Per molte notti si accompagnò volentieri agli uccelli in caccia, ai pipistrelli che affollano un boschetto vicino, agli insetti che ronzano monotoni finché un becco non li cattura.
Da quando aveva tre anni, però, la sua attenzione è rivolta alle persone che abitano il paese e la valle. In un giorno di particolare bellezza, colpito dalla luce proveniente da fuori, sentì di poter dispiegare le sue ali a fare del bene.
Luciano percepisce le preoccupazioni senza capire; sente parlare di acqua e di sgomberi, di case e raccolti in pericolo. Ogni qualvolta i suoi si mostrano ansiosi, si libra con maggiore impegno, a visitar la notte.
Quando sua sorella, la maggiore, cominciò a frequentare ragazzi di altre famiglie, i suoi voli erano diretti a visitare costoro: qualcuno restava e altri sparivano, e neppure questo Luciano capiva.
Quando sentì parlare ripetutamente delle colline come di una minaccia, Luciano andò a visitarle più spesso, senza trovare alcun pericolo; e quando sentì parlare di fabbriche come di cosa sgradita, si mosse a cercarle ma non ne trovò.
All'epoca in cui i suoi insistevano a dire che la gente se ne andava, Luciano provò a cercarne di nuova, tra le pieghe dei colli, sperando fosse gente amichevole.
Le sue ali sono nere come la notte ma pallide come la Luna; si mescolano al colore delle nuvole e sfiorano gli alberi per gustarne il contatto.
E Luciano talora sente un canto sgorgargli di dentro, una specie di musica senza altre parole che il suono del vento su di sé, lo stormire di fronde, il frinire di insetti lontani. Si addormenta felice e al mattino è tranquillo.

 

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Filippo, il mediano dei fratelli, una volta si svegliò nel cuore della notte e lo vide, le braccia aperte come a volare. Pensò di richiamarlo ma, ricordando quanto appreso sui sonnambuli, lo lasciò fare. Non lo disse mai a nessuno, temendo fossero impedite quelle veglie che da allora gli invidia: alla luce gloriosa della Luna, il viso di Luciano irradiava una felicità sovrumana.

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