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Un colore rosa

Ricordava un fremito. La copertina del libro, per lei enorme, prometteva un mondo in cui perdersi, come in un negozio di giocattoli. L'illustrazione presentava gli argomenti trattati, disponendo oggetti curiosi e misteriosi ciascuno come al termine di un percorso nel quale inoltrarsi; faceva pensare a meravigliose avventure, superate le quali avrebbe avuto in premio un qualche dispositivo ancora non inventato.

Precoce, aveva decifrato i nomi degli autori: ricordava bene la Silvia in mezzo a Dario e Michele. Aveva immaginato Silvia complimentata dai due gentili colleghi per la sua intelligenza; fantasticava di essere lei, a presentare felice una scoperta agli altri, ammirati; un paio di volte aveva concesso a Dario di spingersi a dirle che, per le sue capacità, aveva finito col volerle bene.

Sua mamma disse, due anni dopo, che aveva deciso di regalarglielo perché, tratta in inganno dal bordo d'un rosa brillante, aveva pensato a un argomento adatto ad una bimba. Giordana riteneva che, se Silvia aveva potuto scriverlo, era sicuramente adatto a lei e che il colore rosa indicasse proprio questo: essere lei la principale fra i tre autori.

Aveva dunque contemplato le ampie immagini delle pagine interne come anticipazione della sua carriera scolastica nella quale, a partire dall'anno seguente, avrebbe iniziato a percorrere quelle strade verso le grandi scoperte a venire, rappresentate come corridoi o tunnel.

La scuola non era stata minimamente all'altezza delle aspettative, nessuna materia le aveva fornito la sotterranea eccitazione provata alla lettura del libro. Le rimase come un atto di fede, a rassicurarla che tutte le lezioni e i compiti e gli esami avrebbero portato a risultati interessanti, anche se nella sua mente il libro dei sogni e la scuola avevano assunto coloriture diverse.

Dopo il numero giusto di anni s'era trovata fra l'esame prossimo e la necessaria scelta degli studi superiori. Gli ultimi mesi erano stati riempiti da una storia d'amore complicata e struggente: vedersi sempre a fatica, non trovare facilmente il tempo per conoscersi bene, infine il caratteraccio di quel Guglielmo, tanto bello quanto supponente, rendevano ansiosi i suoi giorni. Intanto i genitori si maceravano nel dubbio: scegliere un corso di cinque o, preferibilmente, tre anni per giungere al mondo del lavoro in fretta, o confidare nella sua facilità di apprendere, facendola puntare ad obiettivi più lontani, con tutte le difficoltà anche economiche?

Una sera in cui la famiglia discuteva il tema, suo fratello, di tre anni più giovane, sbottò a dire che tanto il lavoro se lo scordava per un bel pezzo, che si sarebbe dovuta accontentare di lavoretti sottopagati e che allora tanto valeva studiare, visto che lei era brava.

Il fratello era solito aggredire il mondo come a poterne sfiancare la resistenza. Da quando aveva conosciuto il termine, Giordana lo aveva ribattezzato Blitzkrieg e lui s'arrabbiava, non per il significato ma per il tono con cui lo diceva, ché anzi a lui sarebbe piaciuto avere successo con tale strategia. Lei pensò che avesse ragione: aveva promesso di cercarsi un lavoro ogni estate, che avrebbe risparmiato, che non avrebbe perduto neppure un anno. Tutto, pur di affermare la sua capacità di puntare in alto. Le sembrava che accontentarsi, in quel caso, equivalesse ad arrendersi.

Gli "open day" confondevano lei e i genitori. Le rodeva dentro la nostalgia di un'antica emozione: la scuola adatta era quella che l'avrebbe risuscitata. Quale non fu la sua delusione quando la preside di un istituto, di nome Silvia, aveva reso mortalmente noiosa una presentazione! All'udirne il nome, aveva immaginato di entrare in uno dei magici corridoi, in sembianza di lezioni gratificanti, risultati lusinghieri, insegnanti felici di accompagnarla. Ma i professori avevano aspetto e maniere dimesse, quasi svogliate, i locali sfiguravano anche al confronto con la scuola di provenienza e la preside stessa non sembrò capace di incoraggiare l'iscrizione.

S'era trovato infine un liceo decoroso, le materie potevano essere quelle giuste e Giordana immaginava di supplire con la curiosità a qualunque mancanza del programma.

Troppi cambiamenti, perché Guglielmo rimanesse. Giordana aveva passato il primo anno con il disorientamento multiplo di una scuola e compagne diverse, senza un ragazzo, in un periodo in cui qualcosa di stabile l'avrebbe confortata.

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Si era sentita esageratamente fortunata, al secondo anno, per avere conosciuto Alberto. Bello, intelligente, sveglio; il campione della Terza A e il sogno erotico di metà scuola. Avevano costituito un'invidiata coppia fissa anche quando lui, iscritto a Giurisprudenza, aveva preso a vederla lontano da scuola. Lui era sempre alla moda, un'esperienza nuova per Giordana che aveva conosciuto ragazzi inguaribilmente sciatti e scontrosi. Le era piaciuto curare il proprio aspetto e sentirsi apprezzata. Alberto era il primo maschio che si fosse mai sognato di consigliarle un mascara specifico, così Giordana era sbocciata anche esternamente. Non amava gli eccessi e il suo tono contenuto, prima capace di ridurla poco più evidente di un tendaggio alle feste, la faceva ora sembrare algidamente sicura di sé, più adulta, e si compiaceva di riscontrare la riuscita nell'effetto sugli altri, maschi e femmine.

Intanto anche la scuola s'era fatta interessante. La prof si chiamava Daria. Ironico, vero? Era giunta nella sua vita contemporaneamente ad Alberto mostrando esperimenti curiosi, raccontando le vite dei grandi scienziati e facendo lezioni coinvolgenti; proprio ciò che serviva a Giordana per vincere la noia e scoprire una passione duratura.

Ricordava ancora quando Daria parlava di Laura Bassi, Caroline Herschel, Lise Meitner, di come guardasse lei, proprio lei, o così le sembrava, quasi a dirle: Non vorresti essere così? Giordana s'innamorava di una vita di appassionanti ricerche e, fantasiosa com'era, immaginava di affrontare le difficoltà nel lavoro (ancora non sapeva quale) e lo scetticismo che accoglieva una donna in certi campi.

 

Alberto era lì dietro, il giorno della maturità. Lei ricordava solo questo; non i professori, non le domande. Era andata ragionevolmente bene, un bel salto dal trampolino per tuffarsi nei suoi sogni; da un anno puntava a una certa università, aveva collezionato pagine web, omaggi, pieghevoli, come un antipasto prima del piatto forte. Sventolava uno di quelli, avvicinandosi ad Alberto per condividere la soddisfazione.

  • Complimenti, bimba - le aveva detto - E allora: come sei messa col Latino?

Lei non s'era aspettata quel commento; fece un'espressione interrogativa.

  • Ne dovrai masticare un po', anche se non serve più molto.

Il "De Sidereus Nuncius" le era balenato alla mente, ma non era quello.

  • Da Giustiniano in avanti... - aveva suggerito lui.

Giurisprudenza! Stava dando per scontato che l'avrebbe seguito.

  • No, scusa, adesso non ci penso proprio... - aveva detto, e ancora sorrideva.

  • E allora come fai a diventare la più grande Azzeccagarbugli del secolo?

  • Ma io non ho mai pensato di fare Giurisprudenza...

Ormai nessuno dei due rideva più.

  • Ma come, no! E di cosa parlavamo? Non fare la matta, cos'altro penseresti di fare?

  • Ma lo sai, no? Guarda...

Lui aveva dato una manata al volantino.

  • Molla quelle scemenze! Non vuoi farlo insieme a me? Ti seguo negli esami, compriamo insieme i libri.

  • No, senti, non hai capito...

  • Sei tu che non capisci. Ma cosa ti credi? Dove vai se non ti do una mano? Sempre dietro alla fantasia...

  • Pensi che non sappia studiare?

  • Ma no, sei brava. Però io avevo deciso un piano stupendo; ho guardato il programma del primo anno, ce li dividiamo e ci diamo il cambio, tu ne studi un po' e io un altro po'...

Giordana si ricordò che fin allora Alberto non aveva dato che due esami.

  • No, non ce la posso fare: non mi piace.

  • Non ti piace? Come, non ti piace: sei fuori di testa! Oh, senti, mi fai troppo arrabbiare, fattela passare e avvisami quando rinsavisci.

L'aveva lasciata così, mentre intorno compagni e parenti cercavano di inserire qualche complimento.

 

Lo ricordava ancora come il successo più triste. Simile a un paio di occasioni infantili, quando aveva ottenuto qualcosa dopo molto strepito e la conquista rimaneva amareggiata dai capricci appena fatti. Quell'occasione l'aveva toccata profondamente; le pareva di dovere lei una riparazione, di essersi dimostrata inadeguata. L'esame appena superato non valeva nulla, se non era volto ad altro: a soddisfare Alberto, per esempio. Cinque anni e non erano bastati.

Per qualche giorno aveva rivolto la delusione su di sé. Fu Blitzkrieg, a cui Alberto non era mai stato simpatico, a cambiare le cose.

  • Tu a quel coglione non devi proprio niente. È la tua vita, mica la sua, e se lui vuol passare il tempo ad assolvere corrotti e mafiosi sono fatti suoi.

Lei stava quasi per prendere le difese di Alberto. Lo faceva sempre: chiunque fosse accusato era per lei, a prescindere, meritevole di giustificazione. Chissà, forse era davvero tagliata per fare l'avvocato difensore, ma il fratello stava per darle un'alternativa.

  • Prendersela così! Non ha nemmeno sentito cosa volevi fare. Quanto tempo passerai a chiedere il permesso anche per respirare?

Giordana aprì la bocca ma l'offensiva non era conclusa.

  • Da quanto tempo non vai al bowling, eh? Vuoi restare ancora molto, agli arresti domiciliari per lui? Sei una bella ragazza, non hai bisogno del permesso di nessuno.

Giordana non credeva alle orecchie; suo fratello che le faceva dei complimenti: il mondo si stava ribaltando! Lo aveva abbracciato, per tre millisecondi prima che lui si divincolasse come sempre, ma senza mostrare fastidio. Il giorno dopo, uscendo di casa, si era ricordata di essere bella e non le dispiacque, anche se l'idea la faceva ridere.

 

Le ci era voluto poco per passare in rassegna quei quattro lunghi anni, il ruolo di comprimaria nella coppia di successo; aveva raccolto ben misero guadagno dalla passerella continua accanto al suo compagno. Lui ammirato, lei invidiata perché vicina; lui a prendere i premi e lei i ringraziamenti.

Alberto, in effetti, l'aveva aiutata a studiare, ma Giordana non era stata da meno. Il centro era Alberto: il suo anno era sempre più importante, le sue prove più impegnative, le scadenze improrogabili. E tutto ciò dandole invece l'impressione di essere al centro della loro vita insieme. Alberto sembrava capace di altruismo: chiedeva sempre della sua giornata, mostrava interesse per il suo umore, esprimeva opinioni su ciò che la riguardava, come per esempio il trucco. Tutta strategia: inquadrava il suo umore in modo da capire come prenderla e orientare le scelte a suo favore; e infine, diciamolo chiaro: gli piaceva essere ammirato dagli altri ragazzi per la sua compagnia.

Si fece puntiglio di non cedere. Un litigio al telefono e tutto era finito, perlomeno fuori di lei; dentro, era un'altra faccenda. Di nuovo sola, di nuovo all'alba di una fase nuova.

 

Aveva passato alcuni giorni nel limbo, lanciando palle da bowling e piangendo in cerca di sé stessa, dopo essersi appiattita su consuetudini non sue. Andava nella sala giochi abituale dove incontrava Lucia, già socia nelle gare giovanili. Giocavano all'incirca insieme, silenziosamente. Una coppia assortita alla perfezione, una il complemento dell'altra: bionda Lucia, Giordana mora; filiforme la prima, tonda al punto giusto la seconda; gesti sicuri quella, movenze come a soppesare ogni cosa, questa. Entrambe insoddisfatte del proprio aspetto e ammirate per l'altro. Lucia era sportiva, Giordana mica tanto. Nel passato, erano state l'una ospite in casa dell'altra; Lucia dormiva in una specie di fortino, con il poster di un famoso stadio di atletica. La camera di Giordana era giovanile ma essenziale, con toni pastello; non aveva ancora subito l'influsso di Alberto nei suoi sforzi modaioli. Indossarono entrambe un pigiama: quello di Giordana era decorato con un coniglietto: ne rideva fra sé dopo anni; Lucia aveva una maglia grigio-chiaro, pantaloncini mimetici. In comune avevano il disordine apocalittico.

Giordana era timida, il che spiegava in parte le poche frequentazioni; Lucia era di modi spicci, non incline alle cerimonie e questo spiegava le poche sue.

S'erano ritrovate dopo tre anni, avevano ripreso a giocare come se non fosse passato un giorno. Giordana avrebbe pensato con gratitudine all'amica silenziosa. Negli anni passati avevano macinato parole e birilli, tagliato i panni addosso a chiunque, filosofato su tutto lo scibile umano; ma l'ultima fase le aveva viste entrambe pudicamente silenziose. Gli anni cambiano tutto e non si erano riviste, con suo rimpianto.

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In un momento senza nulla da fare, frugando nel disordine dell'armadio, aveva ritrovato uno spessore rosa. L'immagine esterna non più così grande, scurita, i bordi consunti, aveva perduto attrattiva. Sfogliò le pagine riconoscendo alcuni dei disegni, privi della vitalità d'un tempo.

Delusa, se n'era andata nel minuscolo ambiente comune, dove i suoi genitori sembravano meditare.

  • ...come un trampolino. - stava dicendo sua mamma, a conclusione di chissà quale discorso.

  • Chissà cosa lo muove. - chiosò suo papà.

  • La chimica - intervenne Giordana, senza nemmeno sapere l'argomento.

  • Brava. - le aveva detto lui - È un attimo: si decide di far qualcosa che scardini un pezzo, che riaggiusti altro. Una reazione spontanea a quel che si ha davanti.

  • Cercare uno spazio che sia il proprio, - aggiunse sua mamma - magari qualcosa che interesserà quattro persone in tutto il mondo, ma sarà ciò di cui hanno bisogno. Però serve sensibilità; nessuna scienza lo può definire, che sia la chimica o altro.

Giordana, a quell'epoca, stava cominciando a rivalutare i suoi genitori e non le dava più fastidio il comune atteggiamento sognante, e parecchio fuori moda. Non le dispiacque l'idea di una ricerca scientifica, mossa da qualche esoterico impulso interno; abbastanza da farle uscire un sorriso, mentalmente percorrendo uno dei tracciati nella famosa copertina.

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Aveva cambiato ancora città, fra università, master, primo e secondo lavoro, e ora il terzo. La sistemazione della nuova casa doveva seguire un ordine che la soddisfacesse. Le sue amiche glielo dicevano sempre, che era una perfezionista; da chi avesse preso, non sapeva: due genitori simili ai figli dei fiori di epoca lontana, un fratello aspirante Rambo, zii con vasta aneddotica al seguito, il cui racconto aveva sempre animato i raduni familiari. Era la pecora bianca in un gregge di amabili pecore nere.

Per prima cosa, un mobile comprato la settimana prima. Intravista una bottega interessante, lei e la sua amica Sarah erano entrate per curiosità e ne erano uscite con un vasto assortimento di oggetti, tutti ovviamente indispensabili. Il sorriso del negoziante alla loro uscita, pensò Giordana, più che alla loro simpatia si sarebbe potuto attribuire alla spesa, scandalosamente folle, fatta in quel luogo di perdizione.

Sistemò il mobiletto con i primi oggetti preziosi: un cubo di Rubik provato dagli anni, una statuina, un vassoio che era un vecchio amico, da sempre pronto ad accogliere il solito oggetto che ci si trova in mano e non si sa dove riporre. Quindi la foto dei suoi vecchi, del fratello con famiglia, di Sarah, e naturalmente una sua con Michel. Era stata Sarah a presentarglielo.

  • Non so se ti perdonerò mai per questo. - aveva scherzato Giordana una sera, mentre ne ponderavano le doti.

  • Lascia perdere, ché ti ho salvato la vita. Dove lo trovavi, un altro così? È serio, intelligente, diciamo pure che è uno schianto.

Le amiche risero.

  • Davvero - continuò Sarah - è adatto a te, e magari ti tirerà fuori dal guscio.

  • Quale guscio? Sono una persona socievole.

Al primo incontro con Michel, Giordana aveva esibito quella che chiamava socievolezza, parlandogli a lungo delle sue specializzazioni, dei lavori passati e dei suoi interessi; Michel si era assicurato altri appuntamenti, avendo mostrato un interesse genuino e dimostrandosi competente su un paio di argomenti.

Anche la sua foto, dunque.

A corredo, aggiunse due libri. Un libro messo in giro, pensava, fa tanto chic: stravaganze del mio cervello, pensò Giordana. Li aveva presi a caso: Proust e Sant'Agostino. "Ecco" pensò "ora nessuno dubiterà che sia una snob".

Nel negozio era saltata fuori una collezione di cornici che le erano piaciute: si trattava di trovar che farne e i suoi titoli di studio le erano parsi adatti. Il primo era lì, orgoglioso dietro il vetro luccicante nel legno pregiato. Pensò che la sua sistemazione poteva essere un'occasione per radunare un gruppo di amici a festeggiare. Ancora per alcune ore, il tempo di organizzarsi, non avrebbe pensato alla bufera interiore scatenata dagli ultimi, affascinanti sviluppi sul lavoro.

Quella sera, lasciò che l'emozione più grande fosse l'applauso corale al primo colpo di martello.

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L'uomo anziano, dai tanti capelli bianchissimi, l'abito elegante, emanava un vigore fatto di curiosità e decisione. Non era previsto che Gilles Dubois, numero due aziendale, si occupasse della nuova assunta, dall'alto della sua posizione. Giordana sapeva chi fosse e si stupì che fosse venuto (lui!) a trovarla, a pochi giorni dall'entrata in organico. I colleghi intorno, vedendo arrivare l'alto personaggio, avevano sgranato gli occhi.

  • Buongiorno, signora - così aveva esordito l'uomo - è quello il suo ufficio?

  • Sì, entriamo. Posso far qualcosa?

  • No, grazie, non volevo farle un'improvvisata. Però volevo fare due chiacchiere appena possibile.

  • Ho il pomeriggio libero, se vuole - s'era affrettata a dire.

  • Allora potremmo vederci alle due? Nel mio ufficio?

  • Certamente!

L'uomo s'era congedato con un sorriso educato, ringraziando. I colleghi, tutti uomini, le si affollarono intorno parlando contemporaneamente.

  • Ma lo sai chi è, quello?

  • Il numero due della baracca.

  • E non si muove mai senza un motivo.

  • Ma tu chi sei, figlia dell'azionista di maggioranza?

  • L'azionista di maggioranza è un'università, idiota!

  • Va be', il secondo.

  • A noi non ha mai rivolto la parola.

  • Però saluta sempre.

  • Ragazzi, calma! Volete spiegarmi?

  • Quello vuole darti un incarico. E di solito è roba tosta.

  • Prende i migliori, ma sul serio. Lui è abituato al meglissimo e non ammette nulla di meno.

  • "meglissimo" non esiste, ri-idiota.

  • Non importa. Qualunque cosa ti esponga, digli di no!

  • Perché dovrei dir di no?

  • Perché è roba troppo tosta, ha l'ambizione di far vincere premi Nobel alla gente.

  • No, ragazza, dai retta, non ti conviene tenergli dietro.

  • È per gente che punta al massimissimo.

  • Ma allora sei proprio idiota! "massimissimo"...

  • Sarai saggia a rifiutare. Accontentati di quello che puoi fare.

Inutile dire che Giordana aveva atteso le quattordici con ansia, mentre considerava quelli che dovevano essere i suoi incarichi: ricerche interessanti da svolgere anche in laboratorio, contatti internazionali. Cosa potevano offrirle di meglio?

S'era inoltrata lungo un corridoio poco illuminato, in un penultimo piano dall'atmosfera ovattata e formale. Con leggero bussare alla porta aperta aveva annunciato la visita a una segretaria dalla cordialità silenziosa, che l'aveva introdotta dal suo capo. Con modi semplici, quasi chiedesse un favore, il numero due di un'impresa di successo si era rivolto all'ultima arrivata. Certo un signore, considerò Giordana; qualcuno tanto abituato ad essere importante da non avere bisogno di darsi importanza. La sua personalità le era sembrata riempire la saletta in cui si erano recati e ne era rimasta affascinata. Con disinvoltura, le aveva sottoposto alcune ideuzze, come le aveva chiamate: progetti ambiziosi su strade nuove, innovazioni tutte da realizzare. Aveva parlato quasi solo lui, esponendo a grandi linee alcune ipotesi, e si era congedato col semplice invito a pensarci, lui verso una porta che dava sull'ufficio, presupponendo che lei sarebbe uscita dall'altra, che portava alla segreteria. Giordana voleva chiarire di avere compreso le implicazioni della proposta, la fiducia accordatale... ed era rimasta silenziosa ad ascoltare, riuscendo a parlare solo alla schiena dell'uomo mentre usciva.

  • Perché io? - aveva chiesto.

L'uomo aveva sorriso, poi aveva citato un titolo: quello di un articolo fortunosamente pubblicatole da un'oscura rivista; argomento di nicchia che poteva interessare quattro persone in tutto il mondo. Aveva annuito contento e se n'era andato.

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Esausta, a metà notte, stava seduta su una poltrona, un sorriso ebete a gustare la festa conclusa da un'ora, il leggero effetto del vino, il piacere dell'amicizia, la bella cornice a racchiudere un attestato ormai vecchio di anni.

Come quell'attestato, si sentì adeguatamente inserita anch'essa in una cornice conforme al suo gusto.

La piccola vacanza che si era concessa quella sera aveva solo ritardato una risposta che non poteva attendere. Nel tempo necessario ad alzarsi, aveva accolto ufficialmente la decisione già presa dentro di sé: nessuno le doveva dire di che accontentarsi.

Si avvicinò alla mole di scatole, riaprì quella dei libri e, senza difficoltà, trovò quel che cercava: un libro odorante di polvere annosa, storto e appena integro, l'aspettava paziente.

Tre libri sarebbero stati troppo, anche per la sussiegosa Giordana. Ripose l'imponente Proust con un moto di gratitudine, poi sistemò alla meglio il volume che per vecchiezza faticava a reggersi. Il rosa del suo dorso le parve risplendere gioioso mentre la voce di un certo Dario, impersonato da Michel, le sussurrava dolci parole.

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