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Richiami

Gli stivali erano messi sotto la sedia, girati in avanti, come se ci fosse qualcuno, seduto, a indossarli.

I pantaloni, sulla sedia, scendevano a coprire parzialmente gli stivali, dando l'impressione che ci fosse qualcuno, seduto, a indossarli.

Il maglione era sullo schienale. Appoggiato per farlo stare in equilibrio, il suo peso lo aveva portato avanti, una manica sul bracciolo e l'altro come fosse in grembo a qualcuno, seduto.

Al muro stava un pilastro con piccolo ripiano e sopra, attaccato a un chiodo, un quadretto ovale che doveva risalire ai nonni o forse a qualche generazione precedente. Oggetti fuori posto nella sua casa essenziale, di solo arredo contemporaneo, a testimoniare un tempo andato, senza ricordo alcuno, la cui presenza, proprio a causa della loro nudità e non richiamando specifici fatti e specifiche genti, ricapitolava la nozione che tanti tempi, colmi di fatti e genti, stavano alla porta dell'oblio.

La persona si era spogliata distrattamente seguendo i pensieri del giorno passato, idee sparse di mente già avviata a sognare. Per un caso, l'ultimo sguardo prima di chiudere gli occhi fu lanciato alla sedia ingombra, al nero dell'arredo posto dietro. Forse s'addormentò per poco ma, gli occhi aperti sul buio, si ritrovò nella testa l'immagine di una sedia che sembrava occupata. Sorrise fra sé considerando come il pilastro e il quadretto fossero lì a completare l'immagine di una persona interamente vestita, sotto il maglione una camicia dal collo ampio da cui spuntava una testa, un po' troppo piccola e perciò inquietante.

Per un breve tratto, la persona si divertì all'immagine e non seppe ritrarsene se non quando era ormai tardi: l'idea che una figura misteriosa fosse lì seduta, immobile, era stabile e paurosa abbastanza da toglierle il sonno.

Allo stesso modo, l'esitazione a voltarsi la paralizzò. Persa l'occasione di un movimento istintivo, non sapeva trovare la determinazione per farlo coscientemente.

Non credeva ai fantasmi, anzi non pensava mai a faccende del genere, estranee a vite di concretezza come la sua. Il mondo era quello del suo lavoro, dei suoi contatti, dei suoi passatempi. E allora, a che si doveva l'improvviso spavento? La persona ricordava di avere provato sensazioni simili nell'infanzia, ma era diverso: si trattava di affrontare l'ignoto e imparare a spogliarlo di attributi inesistenti; a forza di avere paura e poi vedere che nulla accadeva, aveva imparato che nulla stava, in un punto di buio o dietro un angolo, se non altra realtà. Questa, sì, poteva far male, ma la realtà ti si pone faccia a faccia, è parte del tuo mondo e funziona in maniera nota. Quanto si combatte con la realtà e le sue conseguenze! Ognuna però priva del senso di alterità provato quella sera.

Questa volta, la persona non sapeva regolarsi, era sconcerto oscuro all'idea di qualcosa, come dire, anormale: non era normale la presenza di un essere in forma umana, benché di testa piccola, che non poteva esserci, che non poteva esser giunto per vie ordinarie.

Stette così fermata, quell'immagine, incombente alle sue spalle. La persona respirava piano, aggrappandosi al lenzuolo. Sapeva di doversi girare, riconoscere l'inganno e ridere di sé e di quel ridicolo manichino. Il pensiero, invece, turbò la persona ancor di più: se un umano, benché abnorme, era già pauroso, un manichino lo sembrò maggiormente. Era proprio l'innesto di un elemento anomalo a preoccupare. Maggiore la distanza, una magica animazione cattiva - perché come poteva, un tale mostruosità, rivelarsi buona? - giunta chissà da dove e giunta chissà perché a questa persona fra tante.

Cominciò un esame di coscienza ad ampio raggio. Rappresentava forse un caso meritevole di attenzione da parte di maghi? Che aveva fatto, per esserlo? Fu una litania di episodi curiosi, incontri bizzarri, pensieri strambi.

Niente: in una vita troppo materiale, tutto il resto buttato alle spalle senza dar peso, non c'era elemento alcuno per convincersi di essere destinazione specifica di apparizioni, che dovevano quindi esser causate dal luogo. Ma un appartamento in condominio, di quartiere moderno, non poteva avere avuto il tempo di maturare infestazioni, o incauta apertura di porta sull'ignoto, mentre il vetro cemento acciaio plastica sembrava meno adatto a imprigionare essenze, rispetto a pietra e legno delle costruzioni antiche.

Quel legno ritorto, annerito, che la persona ricordò aver visto in un casolare, e subito dopo aveva gettato l'occhio distratto al buio di fuori, spesso e impenetrabile: entrambe espressioni di una vastità di ere e spazi al di là della capacità umana. Lì sì che si sarebbe potuta annidare qualche entità estranea. E se proprio allora ne avesse avuto il contagio? Un contatto rimasto silente fino al momento opportuno.

Il buio della stanza era smorzato dalle luci, tante, che filtravano dalla finestra, riempiendo muri e soffitto di strisce e macchie, di luci che scorrazzavano in risposta a qualche traffico di fuori. La persona stava ancora ferma, affinché nessun movimento attirasse l'attenzione. Si ricordò di Gatto, anni prima in altra casa, abituato ad aggredire qualunque forma in movimento sotto un lenzuolo. Famiglia ormai distribuita altrove, con pochi contatti. Gatti non più avuti, improponibile l'impegno in casa da soli: così aveva convenuto di dirsi.

Avrebbe fatto comodo, un animale sensitivo capace di aggredire intromissioni ultraterrene, o almeno segnalarle per tempo. La sua reazione avrebbe dato quel minimo di distrazione per potersi girare e affrontare la presenza. Come, non sapeva.

Tanto capace di mettersi a muso duro contro le ostilità del giorno, un individuo deciso, all'altezza di manifeste durezze. Tanto difficile muoversi, adesso, ad affrontare labili entità.

Ci fosse stata quella sera un'altra persona, nel letto ampio, avrebbe potuto fingere un sobbalzo che la svegliasse. Non affinché l'apparizione vi ricadesse, ma perché la divagazione la facesse ritrarre. Non era consueta un'altra presenza; la persona fece lista di quanti umani si sarebbero potuti trovare lì, avendone essa colto l'occasione. Questa seconda elencazione durò più della prima; di ogni caso rintracciare le date; una vita in comune, lunga o breve, quale sviluppo avrebbe avuto. Poi, di ognuna immaginare il dare e l'avere: quanto l'utilità della presenza, come in quella notte, avrebbe compensato le inevitabili ritirate dal proprio modo di vivere, i gusti le opinioni e le abitudini. In ciò, si accorse, considerando solo le perdite. Era questa la ragione di ogni mancata convivenza: la paura di cedere. Stette un certo tempo, in compagnia di quegli altri fantasmi a discutere, a perorare, ad argomentare, anche a rimpiangere.

Un po' di veglia, un po' di sonno popolato di recriminazioni, e infine si risvegliò al momento e alla presenza. Come ad un segnale, le figure prima considerate ribaltarono i temi, rivendicando a loro volta i diritti e le aspettative che la persona aveva tradito. Ecco che dunque il motivo di tante mancate presenze, quella notte, andava cercato non già nelle sue insoddisfazioni ma in omissioni, incomprensioni, nervosismi propri e non altrui.

Gli era già capitato di compiere l'itinerario dei mea culpa quando, in preda a stanchezza, a qualche depressione, o in periodi di volenterosa autoaccusa stimolata da maestri raccattati un po' dovunque, aveva immaginato di doversi una bella ripulita di chissà cosa, da chissà che. Se ne stancò pertanto e si rimise all'ascolto, se mai la presenza avesse dato altro segno.

La persona cominciò un cauto movimento di avanscoperta, tenendo i lenzuoli sotto i quali si girò lentamente. Giunse infine a voltarsi abbastanza da riveder bene i contorni e li ritrovò esattamente uguali, almeno finché non notò che alla fine della manica spuntava quella che sembrava una gelida, scheletrica, adunca mano!

Fissando lo sguardo sull'immagine, ormai solo un'ombra più scura nello scuro relativo della camera, in cui un residuo d'illuminazione esterna tinteggiava linee adatte a enfatizzare il buio, sembrò alla persona di percepirne una fisicità speciale come in rilievo su tutto il rimanente.

Nelle associazioni strane del perdurante dormiveglia, sentì una relazione fra la testa e il quadro: un panorama bucolico di epoche remote ma ora reviviscenti, trasferite alla figura tutta per darle consistenza. Non una, ma molte immagini confluite.

 

Sta per alzarsi!

Sta per alzarsi!

Sta per alzarsi!

Sta per alzarsi!

Sta per alzarsi...

L'istante prima dello spavento si prolungò finché essa ne ebbe la forza quindi, individuo contemporaneo disabituato alla costanza, svanì. Ne rimase una cupa oppressione, un peso nel petto. La persona si chiese che sarebbe stato di essa, se l'avesse colta un malore. Ricordò confusamente storie d'altri tempi, nei quali un personaggio era appunto al cospetto di un'apparizione: il racconto si dipanava nelle accuse di questa a quello e terminava con la disperata resa di quello, a questa e alla morte.

Scorrendo, con la rapidità del pensiero, le ultime infinite ore, nulla trovò di simile a certe ricapitolazioni ma non ne fu sollevata: era tanto vuota di avvenimenti, la storia delle sue relazioni umane, da mancare sia di beni da premiare che di mali da punire? Giusto futili battibecchi? L'individuo che era ne fu deluso, sentendo le precedenti enumerazioni come sprofondare nel proprio vuoto, in una sensazione quasi fisica. Era, il suo corpo, fra due fuochi: davanti la pressione dell'ombra seduta e di fianco a sé la voragine di irrilevanza. Sfuggire l'una significava affrontare l'altra. Siccome delle due era la voragine ad appartenerle, a questa si rivolse.

Basta! Doveva riempire tutta la sua vita di un ritrovato impegno. Di quelle persone aveva i recapiti, le avrebbe chiamate tutte, ognuna avrebbe accolto, con ciascuna avrebbe speso tempo di qualità, per tutte avrebbe investito ogni risorsa. Avrebbe recuperato. Non sarebbe più stato un manichino attento alle formalità, avrebbe avuto il coraggio di mostrare il proprio spirito a qualunque umano avesse avuto il coraggio di accoglierlo.

La stanza sembrò ricevere chiarore dall'impegno preso e il suo sguardo colse una maggiore luminosità. Il mattino s'apprestava infine a illuminare le pareti, la stanza s'era schiarita con un ritmo impercettibile. Gli occhi non s'erano mai staccati dall'orrida entità in procinto di aggredire ma, quando la mente fu a sua volta rischiarata, essa s'era dissolta nei particolari: gli abiti erano troppo flosci per ospitare alcunché; la testa s'era arretrata al muro; la mano era soltanto un curioso riflesso sulla lucida superficie del bracciolo.

Misere forme immobili: questo erano adesso, nessuno spirito estraneo ad animarle.

Lo stupore della ritrovata rassicurante banalità di oggetti noti si mescolò a una sorta di delusione. E se l'apparizione non fosse stata nemica? Se avesse avuto un'intenzione, un messaggio utile? Svanita, col buio, la paura, restò la curiosità di conoscerlo; si disse che forse, affrontata a viso aperto, la visione avrebbe parlato chiaramente e si rammaricò della trascorsa pusillanimità. Facile, nella vita di tutti i giorni, assumere toni duri, affrontare a viso aperto critiche e opposizioni alle quali rispondere, se non con argomenti, almeno con decisione. Facile reagire alle astuzie sempre uguali delle schermaglie consuete. Giungeva poi una novità vera, e la persona si scopriva incapace di accoglierla.

Si alzò, l'ora ormai giunta, e si accostò al quadretto per veder meglio il suo disegno: piccoli tocchi di vernice, ciascuno come dato a caso ma a formare nell'insieme un intero mondo evocato in tratti sapienti. Muto, ma non senza significato.

 

Una giornata che più vuota non poteva trascorse nella infastidita disattenzione. Non aveva preso impegni per la serata e così, dopo una pigra attesa, giunse il momento di spogliarsi. Gli stivali furono messi davanti alla sedia, come indossati ancora. I pantaloni vi ricaddero sopra, discendendo come se ancora fossero indossati da qualcuno lì seduto. La maglia ritrovò la sistemazione di chi fosse lì seduto a indossarla. La persona controllò il risultato. Sentiva che tutto era a posto, il quadro pronto a poggiare la sua storia sul ripiano e da lì riempire gli abiti con la presenza della sera prima.

Tutto controllato, si avviò al letto, ma l'incauto movimento di un piede gli fece urtare la sedia che con un leggero sobbalzo raschiò appena. La maglia crollò, uno stivale cadde. La sedia urtò il pilastro, che urtò il quadretto, che si sfilò dal chiodino e rovinò sugli abiti, scivolando a terra. Si sentì uno scricchiolio. Raccolto, mostrò una crepa attraversarlo.

La persona contemplò impotente l'ammucchio ormai informe. Dagli oggetti era svanita la tensione giusta. Non c'era modo di ricostruire la sistemazione magica, linee ormai spezzate; il contatto col quadro, l'immagine ridotta a pure macchie oscurate dal tempo. Impossibile decifrarla, così come era perduta la storia dell'oggetto.

La persona restò, il buio calante, a contemplare la morta esposizione di oggetti sparsi inanimati.

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