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Quelli là

È un mondo piccolo e ordinato. Piccolo, dico, in relazione al fatto di averlo ormai esplorato interamente. Ci muoviamo senza difficoltà per i suoi sentieri, scaliamo le facili alture, traversiamo fiumiciattoli privi di pericoli. In realtà lo spazio non ci manca e sono molti i luoghi che, a volerci credere, appaiono immensi. È bastato poco tempo, però, e la sorpresa è finita: dopo aver gradito le confortevoli zone d'ombra, gli ampi spazi assolati, i luoghi e i percorsi per la ricerca di cibo, tutto è diventato parte del panorama, un dato certo.
Siamo senza bisogni e anche senza ipotesi, perché nulla ci succede di imprevisto o sgradevole, e richieda di prendere decisioni o fare piani. Dobbiamo solo scegliere quando mangiare, quando dormire, quando accoppiarci o seguire chi ogni tanto finge lotte così, tanto per muoversi un po'.

L'unico elemento strano sono quelli là. Arrivano in gruppetti lungo il confine, dove una rete stabilisce la differenza, altrimenti invisibile, fra il mondo e gli altri luoghi. In genere stanno fermi a guardarci e noi, oramai abituati a venir lì per farci guardare, dobbiamo sembrare piuttosto simili a loro, parimenti fermi, altrettanto osservatori, ugualmente sfaccendati, al punto di avere io stessu pensato, certe volte, che fossero quelli lo spettacolo, e noi lei spettaturei.
Difatti la loro presenza, non si sa di dove né perché, è motivo tuttora di stupore. Tanto diversi da noi eppure, apparentemente, nelle stesse condizioni: branco venuto a mostrare la propria curiosità a noialtri curiosi di loro.
Siccome la storia si ripete da prima che arrivassi, non so dire come sia cominciato il gioco. Ne ho fatto domande ma, sembra, nessuno è qui da tempo sufficiente: qualcunu ogni tanto va al confine, mai da solu e mai con troppa compagnia. Di fatto, c'è sempre un numero di noi e quasi sempre, durante il giorno, c'è un numero di loro a guardare.
Una volta mi avvicinai alla rete tanto, che avrei potuto toccare uno di quelli; loro però si allontanarono tutti, tranquilli ma prontamente. Il mio gesto fu riprovato da una nostra anziana, la quale riteneva più conveniente mostrare distacco verso i visitatori sconosciuti. Come ho intuito, le visite suscitarono all'inizio del fastidio e stanno ancora come un elemento disturbante nella vita normale che ci piace condurre. In effetti, nessunu mai fa espresso riferimento a quelli là: in genere, è come se fingessimo di non vederli, guardiamo nella loro direzione come fossero trasparenti e, per quanto capisco, anche i loro sguardi si dirigono in qua come non vedendoci.
In genere, la loro permanenza è più breve della nostra. Nel tempi di un mio riposino, presso la discesa che convoglia aria fresca al punto di convegno, o in mezzo alla radura che riflette il calore, o contro la roccia che dà ombra, diversi individui vengono e vanno, compiono quei loro gesti apparentemente senza scopo, si fermano brevemente fissandoci e poi s'allontanano. Sembrano meno interessati quelli a vederci che noi a farci vedere.
Forse a causa della loro zona di sosta: vuota e monotona, a parte noi non avrebbero altro motivo per venirci ma a ben pensarci anche noi, per quanto accogliente il nostro ritrovo, non avremmo altro motivo di star qui, esclusi gli strani ospiti. È, questo, l'unico punto di contatto con loro. Per il resto, confiniamo con deserti, montagne e altre separazioni naturali.
A parte un altro: in una specie di palco naturale, al termine di una grande distesa d'erba sempre verde, si ha una breve elevazione che termina contro una parete verticale, brulla e ostile. Ma per un tratto si ha modo di gettare lo sguardo a quella che sembra un'altrettanto grande distesa, in basso, e par di vedere alcuni di quelli passarvi, lontano, ma è uno squarcio minimo di là da altre rocce e non se ne cava alcuna informazione.

Così, l'unico punto in comune è questa linea, a dividere il loro indefinito territorio al di là, la nostra pigra permanenza al di qua. La differenza è minima, ma tangibile: si sta qui con tranquillità, come nello spazio confortevole che abbiamo mentre dall'altro lato un ché di agitazione è sempre percepibile, loro incapaci, direi, di star fermi a lasciarsi vivere. Nei loro gesti, come dicevo, misteriosamente confusi, intravedo talvolta finalità che mi sfuggono, richiami tali da farmi supporre un qualcosa di diverso, nelle giornate che trascorrono oltre l'ultima curva della loro via di accesso.
Chissà se altrei si domandano come sia, lo spazio che ospita quelli. Io me lo domando, e qualche volta mi figuro, oltre la piatta strada che li porta a noi, uno spazio interessante, con un'altra verde valle, un altro bosco, altri sentieri di caccia a loro uso. E chissà se anche quelli hanno abbastanza spazio.
Mi sforzo, qualche volta, di immaginarmi il modo in cui possano condursi nella vita di sempre: se abbiano intenti diversi dai nostri, in che modo i loro goffi corpi li determinino, quanto a cacciare e viaggiare. Ci fu un momento in cui mi venne in mente che il loro accoppiamento fosse ben complicato, ma la fantasia mi cadde quasi subito per mancanza di appigli.
E immagino quelli là, come noi, sdraiarsi nel loro buffo modo, facendo all'incirca quanto anche qui si fa, e allora cala ogni interesse: niente di nuovo, nulla da scoprire.

Me li figuro, a volte, mentre stanno in fronte ad una rete, presso una comoda radura, a farsi guardare da bestie ancor più strane.

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