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Nada

Nada sta in cucina. Pranza lì, spesso in piedi per fare prima. Non ha niente da fare, Nada, ma non ha voglia di perdere tempo; non ne ha mai avuta. Così mangia di fretta il poco che ha voglia di mangiare: il formaggio, il prosciuttino, qualche piatto pronto. Le piace la frutta, ma non le va, dopo il resto.
Qualche volta accende il televisore in cucina, ma a quell’ora non c’è nulla che le interessi, così poco dopo spenge. Ci sono programmi che una volta le piacevano, ma ora le sono venuti a noia: sempre le stesse cose; e poi le dà fastidio sentir parlare continuamente.
Così spenge, di solito, ma sente più profondo il silenzio. Anche per questo mangia di fretta, così se lo toglie di torno. Ma non ha niente da fare dopo, e ricomincia ad annoiarsi.
Appena mangiato, Nada va in camera sua. Si mette sul letto e presto si addormenta.
Le persiane sono accostate. Le finestre chiuse la tengono al caldo perché anche d’estate in camera il sole arriva di rado. Da metà mattina perciò accosta e così, i rumori attenuati dagli infissi, la penombra, riesce a riposare.
Nada si addormenta stanca, dopo pranzo.
Al risveglio, Nada aspetta un momento prima di alzarsi. Qualche volta accende la radio; mette l’auricolare, un po’ per sentirci meglio, un po’ per abitudine. Quando in casa c’era altra gente, non voleva disturbare. Ci tiene a conservare quest’abitudine, e lo sa. Soprattutto per questo, tiene l’auricolare.
Si dà degli orari, Nada, e poi a una cert’ora alla radio non danno più niente, così si alza. Non le è mai piaciuto stare ferma. Da ragazza non stava ferma mai, e le piaceva anche ballare, ma adesso anche camminare è una fatica e nel pomeriggio non esce.
Nada va nel soggiorno all’ingresso, ma non si siede lì, al tavolo rotondo in centro. Quando c’era suo marito, era stata lei a convincerlo a fare insieme dei solitari alle carte, per fargli esercitare il cervello. Poi lei non ha più voluto giocare, da sola. Si siede alla poltrona del salottino, spesso accende il televisore. Qualche volta una vecchia scena la riporta in un film che conosce; sta a guardarlo ma non se lo ricorda. Deve aspettare ogni scena e allora le ritorna in mente.
Ma quando guarda la televisione, Nada si distrae. Si volta a guardare la foto di suo marito, che le sorride da un’estate lontana. Alle volte gli chiede la ragione della sua partenza, perché deve essere morto lasciandola sola.
Alle volte, invece, pensa a quanto si arrabbiava con lui. Fossi stata più paziente, si dice, ma sa che lei paziente non lo è mai stata.
Da ragazza nemmeno era paziente. In casa non c’era quiete, lei che arrivava di corsa a tavola, una fame da lupi, mangiava a quattro palmenti, le piacevano i cibi piccanti. Le viene in mente del periodo in cui si era data alla cucina macrobiotica, e i figli la prendevano in giro per quella roba, dicevano, immangiabile, ma a lei piaceva.
Ha nostalgia di un’India solo conosciuta di sfuggita, rimpianta prima ancora di avventurarvisi; le spiace di non essere progredita nella meditazione, ma le faceva tanto male la testa, già a quei tempi. Solo da pochi anni il dolore pare calmarsi, ma le rimangono quei malesseri che non la fanno uscire e che l’opprimono anche in casa.
Dopo un certo tempo, la televisione la stufa e chiude prima che finisca il programma. Il silenzio però è triste. Si guarda intorno, in quella casa concepita e arredata per la vita di altre persone, ma se ne sono andate, i figli per le loro vite altrove, il marito per la felicità eterna. Non vede l’ora di arrivarci, a quella pace in cui spera che ogni suo malessere, finalmente, scomparirà, e mentre lo pensa sente un dolore, uno dei tanti che un’operazione non ha saputo curare o ha perfino aumentato.
Nada va in camera sua e legge dal libro di preghiere. Ha una serie di belle devozioni, spesso le danno serenità. Non sale più di sopra a pregare, come faceva con suo marito. Torna in ingresso, passando di fianco allo stereo lasciato lì dal figlio, con tanti dischi e musicassette. Lei ha sempre amato la musica, ha pure suonato un po’, finché c’è stato spazio per uno strumento, finché se l’è sentita. Un tempo ascoltava qualche disco di suo figlio, anche se tutto sommato ha gusti molto diversi. Ma ci sono musiche che erano capaci di smuoverle l’animo, a volte anche troppo. Ora che s’è anche guastato qualcosa, nello stereo, non ha voglia di scervellarsi con tutti quei pulsanti e lucine, e ci vede anche poco. Poi non vuole sentire musica, le sembra fuori luogo in quella situazione. Quale situazione?
Passa accanto alle cose del figlio senza riconoscerle. Quanti soldi che ha speso, pensa, e anche di libri. Ha portato in casa tanta di quella roba. Ma li avrà mai ascoltati tutti quei dischi, e li avrà poi letti i libri? Quando viene in vacanza, ogni giorno torna con qualcosa di nuovo; lei non riesce a concentrarsi e quel poco che legge non lo capisce, si distrae. Anche lei ha letto tanti libri ma ora non ricorda quasi più nulla, solo di aver percorso molta strada, benché ormai non ricordi quale. Ma li avrà poi letti davvero, quei libri?
In fondo non le interessa di nulla.
Suo figlio, invece, che porta sempre qualcosa. Gli piace tutto e tutto comprerebbe. Non ci sta più niente qui dentro, dice Nada, la casa straripa. Nada ha riempito la casa di suppellettili e mobilio, attrezzi da cucina, lenzuola, armamentario da tavola. Sente sempre più spesso di aggirarsi per ambienti troppo ampi, troppo pieni di oggetti che le sembrano ormai estranei, perso ogni ricordo su di essi, non ricordandone l'uso.
Fin dai primi tempi del matrimonio, Nada si è orgogliosamente impegnata nel ruolo di casalinga fedele, raccogliendo punti, comprando a rate, risparmiando e approfittando delle occasioni. Di roba buona, ha riempito la casa, nonostante i periodi di povertà che la vedevano attenta negli acquisti, nonostante il disinteresse di tutta la famiglia. Per suo marito una spesa era solo una spesa, e non le manifestava approvazione. Per i figli, sembrava che tutto quello che faceva fosse sbagliato.
Ma Nada nel tempo ha riempito la casa, e conservato quello che aveva. Sul buffet in soggiorno ha due zuppiere dei suoi nonni, e quando sarò morta a chi le darò, pensa. Sua figlia rompe tutto, suo figlio sposato in casa non ha spazio e gli altri che se ne fanno.
Ne ha regalato per così, di roba, ai figli sposati. Almeno così viene bene. Lei ha conservato e ben curato ogni cosa. La tovaglia dei pranzi di Natale, quando ancora se ne facevano, è durata ben oltre il necessario. Nada pensa ai Natali affollati, lei ne usciva esausta per il gran daffare. Quanta roba arrivava in casa, pensa Nada, ma non l’apprezzavo, pensavo ai poveri e mi vergognavo, e intanto non sapevo godermi tutto quel ben di Dio.

Nada sta a guardare le fotografie dei nipoti, sul mobile in salotto. Non li vede quasi mai. Ricorda quando i suoi figli erano piccoli così. Ero felice e non lo sapevo, si dice. Ricorda che a quell’epoca non era felice affatto, il negozio che non girava, i problemi di salute del maggiore, come una cappa di piombo a soffocare le loro vite, i guai di ogni giorno che qualche volta erano troppo per non credere di impazzire.
Nada ricorda episodi: gite, giochi. Vorrebbe indietro quella volta in campagna, quel fiumiciattolo e il loro picnic, le cose preparate da lei, che aveva anche comperato poco a poco tutta l’attrezzatura. L’attrezzatura è ancora tutta lassù, nell’armadio dell’altra stanza. Da quanto tempo nessuno la usa. C’è anche la vecchia cinepresa, con i filmini fatti anni prima, i figli piccoli.
Nada ricorda i suoi figli da piccoli, di come uno ad uno li ha scoperti grandi, stupita che le fossero cresciuti davanti senza che lei se ne accorgesse. Le viene in mente qualche buffa espressione di uno di loro. Quattro caratteri diversi. A seconda dei giorni, ricorda il modo in cui uno di loro l’ha fatta soffrire. Tutti loro l’hanno fatta soffrire, in un modo o nell’altro. Alle volte un ricordo è tanto doloroso che Nada sente ancora una ferita aperta, un’umiliazione, un’offesa. Ci sono volte in cui Nada sente di non poter perdonare qualcosa. Altre volte pensa che il tempo passato le fa perdonare tutto.
Quanto tempo è passato. Alle volte in televisione rivede il viso giovane di un attore che è morto vecchio, e lei invece l’aveva conosciuto così, il faccino liscio. Sono più vecchia dei vecchi che muoiono, si dice. Qualche volta ci sono programmi che spiegano il mondo presente, e lei sta a guardare. Le è sempre piaciuto conoscere, capire, aveva una mente filosofica, le dissero, e voleva approfondire. Ma quei programmi parlano di cose che non ha mai visto, che funzionano in maniera incomprensibile, come quei computer del figlio. Lui le ha spiegato qualcosa ma non ha molta pazienza, e per lei è tutto un groviglio. Se i miei genitori tornassero al mondo, pensa, scapperebbero nella tomba dallo spavento. Sono nata all’epoca dei biplani, e ora fanno vedere delle cose da fantascienza.

Di rado entra nella stanza che fu l’ultima di suo marito, prima di morire. Non ha niente da fare, lì, tranne prendere un ago o bagnare l’ultima pianta sul balcone, o aprire e chiudere metodicamente le gelosie, mattina e sera.
A cucire non è mai stata brava, e anche ora se deve dare un punto è un’impresa. A maglia invece era un’artista. Ha le foto dei suoi figli tutti vestiti dei maglioni che faceva, ne aveva anche venduti e le piaceva, quel lavoro. Ricorda, da ragazza, le macchine con le lavoranti, e come lasciò tutto quando si sposò.
Aveva anche il pollice verde, le piante le crescevano da sole, lei che non le sapeva curare. Ma ora non le va di mettere fiori sul balcone, quei davanzali troppo piccoli. C’è solo una piantina là nell’ultima stanzetta, e le ha trovato proprio una posizione giusta, senza troppo sole, né troppa aria, né umidità. La casa non è adatta a far crescere piante. Poco sole. Almeno d’estate non si boccheggia. Quasi mai.
Nada ha nostalgia dei bei balconi nella casa di prima, in cui passò la maggior parte della sua vita da sposata. Era bella, grande, ma per questo pulirla era pesante. Là si era presa l’abitudine di sedere fuori dalla cucina, a godere il fresco e la tranquillità. Negli ultimi tempi, di tranquillità ne aveva trovata un pochino, fra una faccenda e l’altra di una famiglia che se ne stava già andando per i fatti suoi. Aveva preso piacere nella sosta sul balcone, sentendo i rumori lontani di altre famiglie che non conosceva e riuscendo, per una rara volta nella vita, a sentirsi serena e rilassata. Poi, però, avevano dovuto traslocare lì dove non c'erano balconi.

Nada non guarda spesso le fotografie riposte negli album. Ne ha scattate parecchie, negli anni, e le piaceva registrare i periodi della famiglia, le feste, i bambini che crescevano. Non le guarda perché le mettono tristezza. Gli anni passati. Se vede i bambini piccoli, ne ha nostalgia. Che begli anni, pensa, perché non ero felice? Vaga alla ricerca di episodi, istintivamente, episodi legati ai visi lontani.
Non è mai stata felice, Nada. Una volta era giunta a dire a suo marito che stava tanto bene, ma il giorno dopo la dovettero ricoverare per una brutta operazione.
Sono stata sfortunata, pensa Nada, e prova un po’ di compassione per se stessa.
Nada ha sempre avuto problemi di salute. Anche quando era una ragazza piena di vita. È stata tanto tempo prigioniera in casa, mestieri e figli da curare, e nessun posto dove andare. Ora le pesa anche uscire: le gambe, la schiena, la testa. Nada ha sempre avuto problemi di salute, anche quando era una ragazza piena di vita. Eppure aveva energie per ballare tutta una notte. Ora le pesa anche uscire: la testa soprattutto, la schiena, le gambe.
Una volta aveva chiesto a suo marito: eravamo dei giovani felici, chi ce l’ha fatto fare di sposarci? Lui non aveva risposto. Lui che era stato lontano tanto tempo. Lui che l’aveva anche tradita. Lui, che ha infine perdonato, anche se certi ricordi continuano a far male. L’ha perdonato ora, non perdonandosi la propria insofferenza, i propri sfoghi. L’ha perdonato ora, dopo averne conosciuto la debolezza. Lei lo ha soccorso quando affondava e lo ha tirato nuovamente a galla mentre passava gli ultimi anni da tranquillo vecchietto, i difetti e le manie sempre più evidenti in un carattere che via via si asciugava, mentr’egli smagriva. Lo sta anche perdonando di essersene andato tanto prima di lei.
Aveva sperato di invecchiare insieme a lui, e adesso lui non c’è più. Sei stato furbo, dice Nada alla fotografia sul mobile in salotto, te ne sei andato e così adesso stai bene.
Nada pensa alla morte e la desidera, non vede l’ora. Se lo dice da tanti anni ormai, e in quegli anni quante volte ha sentito che stava come morendo, ma non si muore mai, non è facile morire. Ricorda quanto aveva sofferto sua mamma, come l'aveva ridotta la malattia, dopo che aveva sempre tenuto ad apparire curata. Anche suo papà aveva fatto tanta fatica a morire. Nada ricorda mentre, alla fine, lo guardava patire. Fermati, diceva al cuore, ma il cuore continuava a pompare e suo papà non moriva. Anche suo papà, a un certo punto, lo aveva detto: "Però, quant'è lunga!".
Nada pensa che morire sia bello, ma quelle volte che si è sentita morire non era affatto bello. Infatti non era morta. Forse per questo non era bello.

Nada resta ad ascoltare i rumori da fuori. Vorrebbe che sulle scale ci fosse un pianerottolo; qualche vicino a cui dire buongiorno; i rumori di vite felici. Sente qualcosa dalla casa di fianco. Pensa a quando in casa sua c'era tanto rumore. Non lo sopportava.
Potessi tornare indietro!, pensa. Le manca tutto di ciò che ricorda, bello o brutto che fosse.

Nada va a letto presto, la noia e l’avvilimento, niente da fare e non vede l’ora di farla finita con un’altra giornata inutile. Estate e inverno va a letto più o meno alla stessa ora, sole o non sole, mette l’auricolare e segue le preghiere alla radio mentre scivola nel sonno che arriva puntuale ma si esaurisce presto, e quando ancora è notte riaccende la radio per seguire programmi ormai familiari, in un ritmo lento e rassicurante.
Trova conforto a pregare, ma non sempre. Ha avuto grandi consolazioni e grandi ispirazioni. Tante consolazioni ha avuto, ma tanta sofferenza da numerosi diavoli. Non ha mai avuto paura ma ha sofferto, tanto sofferto.

Nada, al mattino, ha più energie. Se la sente quasi sempre di uscire per fare un po’ di spesa, o andare a messa. Arriva appena dove necessario, ha paura di un malore, della figura che farebbe se si sentisse male in mezzo alla strada.
Uscire le fa paura, per questo. Nada non si fida della sua testa, e neanche delle gambe malferme e doloranti. I dolori di testa sono i peggiori, non si può descrivere quello che sente, quando sta male.
Nada per questo ritorna subito a casa, mette via quello che ha comperato e poi spolvera un po’ per tutta la casa. Nella stanza in fondo saluta il figlio maggiore in un ritratto che lui si era fatto fare sul lungomare, anni prima. Le manca tanto, ma quando arriva è sempre preoccupata di non farcela a servirlo. Quante volte gli ha taciuto il peso che sentiva!
Nada ha sempre servito tutti senza ricevere aiuto. Con i figli piccoli, poi il negozio, poi la sua salute, ce l’ha sempre fatta da sola. Suo marito, in casa non l’aiutava per niente e anche la figlia, una volta cresciuta, le dava di rado una mano. E sì che adesso cresce i nipoti tanto bene, ma quando era in casa era tanto pigra.
Non sono stata capace di educare i figli, si dice spesso Nada, e sono venuti su bene per conto loro. Certo che difetti ne hanno. Quel figlio che abita vicino ma non la viene mai a trovare. Qualche volta viene, ma così di rado. Però ha tanto da fare, poverino, è pieno di lavoro, e per fortuna, e poi ha la famiglia a cui badare. Però potrebbe venire più spesso, o magari una telefonata: mamma, hai bisogno di qualcosa? Ma lui non chiama mai, aspetta che sia lei a chiedere, e quando passa è sempre di corsa, e qualche volta è stanco e lei non vuole chiedergli niente. Ma poi anche quando gli chiede qualcosa lui se ne dimentica, preso com’è. Una volta ha aspettato tre giorni, per portargli quello che gli aveva chiesto di comperare.
Ad un tratto le viene il sospetto che sia lei a sbagliarsi, forse le cose stanno andando diversamente e non se ne rende conto, come i bei tempi andati che le sembrarono brutti; un lampo e non sa più mettere a fuoco il pensiero. Resta l'impressione che uno spiraglio s'aprisse e un residuo di sensazione, come d'essere stata consolata.

Nada guarda le persiane accostate in camera. Uno spiraglio di luce mostra infinite particelle che si muovono intorno a lei. Infiniti mondi che vagano in uno spazio immenso. C’è da perdersi nell’immensità che percepisco, pensa Nada: fin da piccola, quelle particelle sembravano riflettere il cosmo infinito che la scienza ha allargato a dismisura e lei, mentre si appassiona seguendo un documentario, trova poi difficile capire dove sia, nell'infinito, quel Dio più facile da immaginare in un cosmo come quello degli antichi. E tu, Maria, chiede pregando, dove sei?
Nada è sempre stata profonda e ha avuto intuizioni al limite del paranormale. Una volta sua figlia girò carte da gioco pensando al seme e lei ne indovinò dieci su dieci, tranne l’ultima perché sua figlia s’era concentrata apposta sul seme sbagliato.
Le piacerebbe parlare con qualcuno, pensa, ma della gente si stufa, e sono tutti presi con mille inezie. Lei vorrebbe parlare di argomenti più profondi. Qualche volta con suo figlio affronta qualche argomento filosofico. Lui l’ascolta e anche la capisce, ma ha opinioni troppo diverse. Nada qualche volta si segna una breve frase, qualche cosa di sentito alla televisione o alla radio, qualche idea giuntale come un’ispirazione durante le preghiere. Una volta si segnava frasi dai libri che leggeva. Perché anche lei, in realtà, ha letto libri e anche difficili. Conserva i quadernetti con i suoi appunti, ogni tanto rilegge per approfondire. Questo la conforta.

Nada si stanca facilmente. È sempre stata così, ma una volta le gambe la reggevano. Pensa che se le gambe la reggessero potrebbe rifare la casa da capo a piedi. E quando le gambe la reggevano, ha davvero rifatto la casa più volte. Ha imbiancato, tappezzato, traslocato, riparato. Se le gambe la reggessero, adesso, andrebbe a vivere altrove. Questa casa mi ha dato solo dispiaceri, pensa.

Nada guarda un oggettino, comprato anni prima, non ricorda quando, con chi era, dove. Non ricorda facilmente, ma ricorda volentieri.
Ricorda dei suoi genitori che litigavano sempre, anche violentemente, lei che aveva paura, tornando a casa, di trovare chissà quale tragedia. Si ricorda del tifo da bambina, e tutto il vicinato si aspettava ormai solo che morisse; di quella volta che rischiò di annegare, con una sua amica. La sua amica andò a vivere altrove, quando lei si sposò, e per anni non ne seppe più nulla. Per un certo tempo dopo sposata Nada le scrisse, ma non ricevette mai risposta. Infine, tanti anni passati, lei si fece viva. Si rividero alcune volte. Poi l’amica morì, erano già anziane entrambe.
Nada guarda un oggetto e lo sente caro oppure ostile. Dipende dai ricordi che ci sono attaccati. Questa casa è piena di ricordi, pensa. Ci sono i regalini ingenui che i suoi figli le facevano da piccoli, ci sono i bigliettini scritti a scuola per Natale, con i disegni di capannucce bordate di polvere brillante, calligrafia insicura e promesse esagerate.
Ci sono lettere e foto sparse, in una scatola in camera sua.
“...marito e padre esemplare.”
“...ti prometto che l’anno prossimo sarò sempre buono.”
“...mamma adorata.”
“...”.
I suoi genitori in una foto a Venezia, belli come attori del cinema, eleganti come milionari. Credeva che non le volessero bene.
C'è un quadro con la foto di lei da piccola, lo sguardo triste: come l'avrebbe ereditato uno dei figli.
Ci sono foto di alcuni antichi parenti, tutta gente che ha vissuto per molti anni dopo quei sorrisi di giovani, quegli orgogli di padri e madri. Sono riposte le foto, e i corpi in qualche cimitero. Nada ritrova episodi lontani, ma le sembra che fosse, lei allora, più vera che adesso.

Nada sta in salottino, ma non accende il televisore. Guarda le foto sul mobile, passa in rassegna i volti, si ferma sul marito che la guarda sorridente, guarda i nipotini com’erano anni prima, considera i cambiamenti, le parentele.
Nada guarda i quadri riflessi nello specchio sul mobile. C’è una marina. Attraverso lo specchio le pare che le onde si muovano. Le onde sono alte, il mare in burrasca. Ci sono nuvole scure e là in fondo un sole che trasluce.
Il mare le piace. La profondità paragonabile a quella che ancora si sente dentro.
L’ha espressa, alfine? Ha dipinto con sufficiente perizia le ceramiche ancora conservate nel buffet? Ha prodotto abiti con adeguata creatività? E quelle composizioni di terracotta, irradiano ancora bastevole talento? Il suo Cristo dolente, la sua donna al bagno, il suo guru beato, il ritratto della figlia... Ha suonato il pianoforte abbastanza bene, hanno le note abbellito qualcosa di questo universo? E le sue meditazioni, che molte volte l’hanno portata presso confini riservati a pochi, hanno dato conto dell’equilibrio cosmico, come si era sentita dentro?
E i doveri domestici, tutti puntualmente svolti, hanno contribuito al mondo quell’ordine perduto che tutti noi cerchiamo? Nada ci tiene ancora a fare ogni cosa per bene, e sa di averne motivato vanto.
Sono stata brava?, chiede Nada sperando. Una bambina che vuole affetto è Nada, e lo sa bene.
Esser passata per l’obbedienza al mio nulla, si dice speranzosa, è stata sufficiente oblazione di me, a compensare colpe e inavvertenze, annullarne in anticipo gli effetti, medicare un poco del male ch’ella ha trovato già qui, al suo arrivo in questo mondo non suo?
E il progresso spirituale concessole, era tutto quanto ci si aspettava da lei?

In qualche momento di questa giornata troppo lunga di giorni sempre uguali, scosso l’avvilimento, Nada ritrova l’orgoglio con cui un giorno, da ragazza, tenne lezione di filosofia ad un professore, il quale la complimentò.
Se non fosse per le sue gambe pesanti, per il dolore alla testa... ma Nada sa che il suo vero corpo è altrove, e la sta aspettando.

Nada sta in ingresso, prostrata dall'ultima crisi; soli testimoni, i vecchi mobili che l’hanno accompagnata a lungo. Ancora una volta sembrava che il dolore l'avrebbe portata via, nell'ennesimo dei suoi mancamenti; pensava infine giunto il momento di abbandonare la prigione, ma dopo tanto soffrire tutto è tornato alla silenziosa normalità. Non è ancora finita, si dice, speravo tanto, stavolta; ho tanta voglia di vedere come va a finire.

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