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La donna di pietra

Il sole si abbassa rapido. Kurt affretta il passo. Dopo la salita faticosa ha riconosciuto il luogo: in quel pianoro elevato c'era neve quasi tutto l'anno, una volta, ma le montagne sono come le ricorda. Dopo una breve sosta prende una via in disuso, niente più ormai che una debole traccia nel terreno. Molte cose sono cambiate da quando egli e suo fratello signoreggiavano incontrastati sulle valli d'intorno.
All'epoca le loro magie li rendevano capaci di mutare destini e conoscere ogni cosa; Kurt avrebbe subito saputo della statua nella caverna. Adesso, aveva dovuto sentire per caso la faccenda da un passante con la voglia di chiacchierare. Kurt l'aveva interrogato, cautamente ma con insistenza, e si era convinto di aver finalmente, dopo tanto tempo, ritrovato Hilde, mentre mancava ogni notizia di suo fratello Anton. Al pensiero aveva gioito crudelmente.
La sera incipiente comincia a mutare in rosso tutti i colori della valle. Paiono le montagne prendere fuoco al passaggio di Kurt, che trae forza dal colore e dalla vicinanza alla meta.
Quasi addossata al monte più prossimo c'è una fattoria. Anticamente, per quei luoghi non viveva nessuno; alcuni, che prima passavano solo per raggiungere le pianure lontane, s'erano invece fermati e i luoghi già deserti ora brulicano di vita. Kurt entra e lo accoglie il fattore, un uomo possente e silenzioso. Senza dire parola lo fa sedere e gli dà del pane e del latte caldo. Poggiando la tazza, nota il piccone appeso alla cintola dell'ospite; un attrezzo come da quelle parti non se n'usano. Il fattore scruta incuriosito, ma con la riservatezza della sua gente, lo straniero giunto da una via inconsueta: non c'è la strada asfaltata più avanti, e il paese non è dall'altra parte? Ma il forestiero sembra perso nei suoi pensieri mentre mangia, e pare non accorgersi di nulla, la tensione gli scurisce il volto.
Kurt si guarda intorno. Da un'ampia finestra scorge il roseto, non ancora in fiore. Sorride, soddisfatto del favorevole presagio, finché non nota un quadretto, proprio sopra la porta, raffigurante una stella alpina, detestato simbolo del fratello.
Uscendo, Kurt prende una strada che lo condurrà dritto in mezzo ai monti. Il fattore continua a guardarlo finché può: il viaggiatore ha preso una direzione scomoda e forse pericolosa. Ma Kurt sa che fare, sa che il sole dovrà tramontare in un certo punto, e per allora avrà ritrovato la caverna, che lui e Hilde e Anton già conoscevano. Là davanti, alla donna egli aveva regalato una corona di rose, sbocciate per magia, rosse come il tramonto sulle rocce scoscese. Poco lontano ella gli aveva detto di amare suo fratello. Da allora era stata guerra: prima con la magia, per conquistarla meravigliandola; avevano entrambi innalzato vette, sprofondato valli. Poi, all'arrivo dei primi viandanti, avevano esteso la guerra alle popolazioni in transito mentre Kurt, che allora aveva un altro nome, cercava di cacciare il fratello da quei luoghi.
Era stato un conflitto di secoli, mentre popoli si alternavano, con nuove lingue e differenti usanze. Entrambi avevano infine dovuto scomparire, spossati dai loro sforzi più che dai colpi avversi.
Kurt prende un tratturo in salita. C'era un comodo passaggio, anticamente. Da là intravede alcuni uomini inerpicarsi lungo una parete, gli abiti colorati, come fiori in movimento. Amava i fiori un tempo, Kurt, perché li amava lei. Ma l'amore s'era mutato in odio per tutto, e ormai non sa creare fiori se non di pietra.
E in pietra s'era dunque trasformata Hilde. Come altrimenti avrebbe potuto mantenere la promessa: "Ti aspetterò, passassero secoli"?
Erano state le ultime parole udite da Kurt: le parole d'amore di Hilde per Anton, l'odiatissimo Anton che aveva rubato la sua donna. Parole che avevano echeggiato nella sua mente per tutta la durata del sonno. Ora, rientrato in un corpo, si reca a prendere ciò che considera suo: distruggerà il simulacro e Hilde sarà costretta a tornare a lui. O morirà nella pietra.
Tra breve, porterà a termine una vicenda che ha dato forma ai luoghi e alle favole narratevi; la sua mano si appoggia al piccone di cui non ha bisogno per inerpicarsi, istintivamente cercando l'unica arma rimasta.
Gli giunge il suono di una campana e si volta a cercarne la fonte. Distratto, per la prima volta, dall'obiettivo che lo attrae, resta a scrutare il paesaggio non più suo. Altre vicende, altre passioni. Cerca di collegare quanto vede alla sua storia: per quelle strade, o altre che esistevano allora, il piede di Hilde s'era avventurato; lungo i crinali che scolpiscono la regione, lui e il fratello avevano condotto la guerra. Popoli si erano succeduti, inconsapevoli, ondate a scuotere il nemico.
Ma nulla sembra ricordarlo. Il sole giunge al suo riposo e tutto sembra, da sempre, riposare con esso. Non si avverte spazio per alcuna ostilità, anche se nulla pare smuovere le montagne, e questa appare durezza somma, di non curarsi delle vicende umane, pur contemplandole. Ma Kurt si riscuote. Da personale crudeltà animato, intende giungere al fondo della sua battaglia, costi quel che costi. Si gira e riprende il cammino.
Non ci vuole molto ancora per ritrovare una radura, quasi un terrazzo sul mondo, e di fronte l'accesso alla grotta. Kurt entra, impugnando il piccone; fatti neppure dieci passi trova, chiaramente intagliato in una stalagmite, il profilo di Hilde. La roccia, al tramonto che penetra il buio, la rende vibrante d'un rossore mai posseduto in vita, la pelle candida come neve. Il viso è chinato, come in sottomissione, quasi aspettando la prossima furia.
Ma il tempo di contemplare, per lui, è finito da secoli. Kurt alza il piccone, senza parole di cui non c'è bisogno.
Proprio cercando il punto da cui attaccare, lo sguardo giunge alle mani, unite a tenere un fiore. È una stella alpina, grande come non se ne videro mai, il calice a raccogliere lo sguardo che dalla donna a lui cola.
Ai piedi della figura, una pietra screziata di rosso giace, in forma di rosa.
Per tutti quei secoli, ella aveva avuto Anton con sé, lui spettatore.
Il piccone trema, s'abbassa. Kurt si volta, furibondo e impotente: ha perduto la guerra, e ogni collera gli suonerebbe patetica.
Dall'apertura ampia della grotta, disorientato, lo sguardo spazia su un panorama immoto, come trattenuto. Il cielo sembra più vasto nella sera, le montagne più alte. Gli viene da lontano un coro: gli uomini-fiore, raggiunta la meta, celebrano il trionfo. Egli, che si sentiva trionfare pochi secondi fa, ha una slavina dentro. Rocce che si sgretolano.
In basso, per tutta la valle, la primavera ha largito fiori, adornando le rocce di gentilezza; il coro ingentilisce l'aria, lo stupore dell'imprevista sconfitta ha mutato il suo cuore.
Sul piccone è cresciuto un piccolo germoglio, come non era più capace di crearne. Kurt abbandona l'inutile arnese.
Scosso, s'addentra nella grotta, supera la donna di pietra che lo ignora, beatamente paga del suo fiore. Socchiude gli occhi e s'inoltra. "Anton!" chiama piano. Poi la sua figura si perde fra le rocce.

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