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Il traghetto

 

Quando giunsi qui ero abbastanza lucido e concentrato, contrariamente alla maggioranza dei nuovi arrivi. Non avevo speso per niente tutti quegli anni a comandare e prendere decisioni; mi hanno reso capace di affrontare le novità senza disorientarmi. Inoltre, l'inevitabile ottenebramento del sonno in cui ci si trovava, ché questo è, non mi prese alla sprovvista: quante volte, dormendo, ho saputo analizzare qualche faccenda e, risvegliato, mi ritrovavo con la soluzione!

Mi resi dunque conto che era proprio come lo avevano raccontato gli antichi: si doveva traversare un mare, o un vasto fiume, per giungere a destinazione. E compresi pure che le cose non andavano per il verso giusto: niente di meglio, per chi è portato per gli affari.

 

La situazione era, semplicemente, insostenibile. La folla in attesa di passare aumentava continuamente e le antiche procedure erano inadeguate.

Ce ne stavamo, su questa riva affollata, con sempre nuovi arrivi a premere per avvicinarsi, con partenze rare e attese estenuanti.

In molti ormai si arrivava impreparati, credendo che certo bagaglio fosse inutile: senza una monetina, un uccello, un utensile… io stesso ne ero privo, non si aveva l'interesse; un po' per lo scetticismo sulla stessa esistenza di questo posto, e c'ero anch'io; un po' perché si pensava che contassero i fatti precedenti, e poi fosse tutto automatico.

Forte delle mie capacità organizzative e, devo ammetterlo, con una eccessiva dose di autostima, ho cercato subito di dare un contributo.

Mi resi conto rapidamente che l'afflusso era variabile e pensai di sfruttare i pochi tempi morti (mi perdonerete l'involontario umorismo) per attrezzare altre imbarcazioni, estendere e moltiplicare i moli, stabilire turni. Non avevo idea degli ostacoli da superare.

 

Per cominciare, il traghettatore avrebbe dovuto accettare la collaborazione di quelli che, fino ad allora, erano solo un carico da trasportare.

Lasciatemi descrivere meglio il personaggio, un tipo decisamente strano. È naturale che uno, a forza di far sempre lo stesso lavoro, acquisisca degli atteggiamenti, per così dire, peculiari, tanto più a causa delle poche istruzioni ricevute, alquanto lacunose.

Tutto quel che deve fare è caricare un traghetto e portar gente di là: fine. Semplice, penserete. Deve averlo pensato anche lui: un incarico alla sua portata, che avrebbe svolto abbastanza bene da soddisfare i responsabili, i quali avrebbero cercato un modo migliore per sfruttare le sue capacità.

Non si può certo negare l'impegno, ma se sia bene speso non saprei. Dal mio arrivo, non s'è vista traccia di supervisori: o se ne sono disinteressati da subito o, capito il problema, hanno preferito dileguarsi. Senza alcun contatto con l'Organizzazione, senza prospettive di carriera, ci si adatta.

Quando lo vidi la prima volta, trovai un poveraccio scontento, frustrato, rabbioso con tutto e tutti. Un lavoro infinito, nessuna gratificazione, continue lamentazioni da parte dell'utenza… lo sapete come funziona, no? Se da qualche ufficio ricevete risposte insoddisfacenti, vi fiondate lì per la soddisfazione di inveire contro la prima persona incrociata. Ecco: la sua figura è la prima a presentarsi nella nuova condizione, la maggior parte degli arrivati chiaramente scontenta; giù una pioggia di lamentazioni! Tutto ciò si rispecchiava nell'aspetto: magro, anzi scavato, sembrava trarre le forze unicamente dal fuoco della sua volontà; una fiamma che emanava dagli occhi, dandogli uno sguardo terrificante e difficile da sostenere. La chioma abbondante e selvaggia sembrava commentare, nel suo disordine, i gesti con cui riceveva le folle e disponeva la navigazione: pochi e autoritari. L'abbigliamento, consistente quasi solo in una tunica consunta, era il più adatto a paludare la trista figura, aggiungendo un tono tragico e spoglio. Appesa teneva una sacca floscia, destinata a raccogliere i pagamenti; molti ne riceveva, ma non l'ho mai vista piena.

A un simile personaggio dovevo, appunto, suggerire una diversa idea degli utenti, ma anche convincerlo della necessità di traghettarne un maggior numero. Pensai di far acquisire nuove imbarcazioni e non vi nascondo che per un attimo alquanto prematuro mi vidi armatore di una flotta per cui era già disponibile l'ammiraglio, benché il compito si presentasse immane.

 

Tanto per cominciare, mancava la materia prima.

La contorta vegetazione, in un paesaggio il cui scopo sembrava principalmente quello di intimorire, sottolineando il momento decisivo, sembrava inadatto a produrre assi per il fasciame e alberi per le vele, ma la vasta platea di falegnami e maestri d'ascia poteva risolvere il problema, salvo… la mancanza di attrezzi.

 

Iniziò così un percorso che rifaceva la storia del progresso umano. Io non ho mai creduto che bastasse avere fiuto e conoscere la borsa per fare affari, e così avevo passato un bel po' di tempo a farmi almeno un'infarinatura culturale, guadagnandomi la fama di originale; poi ne sono arrivati altri, ma ho sempre pensato che lo facessero per una posa, o come pensassero che i soldi possano garantire l'acquisto della saggezza.

Con tutto ciò, del problema sapevo il minimo: come nella preistoria, si dovevano scegliere pietre, scheggiarle opportunamente, imparare ad usarle. Come potrete immaginare, quaggiù non ne erano rimasti molti, fra le folle in attesa, che risalissero a certe epoche lontane: qualche incidente, poveretti divorati dalle fiere e cose del genere; gli altri s'erano potuti pagare il trasporto. Quei pochi, però, furono preziosi. Sapendo come sfruttare le risorse umane, feci di loro delle celebrità locali. Fu facile: mi feci vedere mentre colpivo due sassi, spiegai cosa volevo fare e in breve raccolsi folle di ingenui, tutti convinti di esser più bravi di me. L'attività fu notata da un Neanderthal che in pochi colpi creò meraviglie. Vi avverto, qualora vi capitasse: non sottovalutate un Neanderthal in nessun campo. Purtroppo, prima che potessimo acquisire competenze sufficienti, i furbacchioni avevano realizzato dei monili deliziosi, traendo riflessi suggestivi dai cupi sassi del posto. Non trovando di meglio, li legarono coi loro stessi capelli e così ebbero di che pagare un posto, alcuni insieme a persone conosciute qui e con cui avevano intrecciato incredibili rapporti sentimentali. Già: non ci si limitava ad attendere.

 

Ben prima che riuscissi a convincere qualcuno della possibilità di costruire navi, il legname fu utilizzato abbondantemente. Cosa non avevo scatenato! Chiunque riuscisse a maneggiare un sasso aveva preso pezzi di legno o di corteccia; i più tenaci anche delle radici, e cominciato a farne collane, orecchini, statuette… beninteso, non tutte opere d'arte, ma molte servirono allo scopo di pagarsi il viaggio.

Stavo assistendo alla nascita di un mercato! Come in tutti i mercati, dopo le prime fasi confuse si cominciarono a delineare meccanismi. Innanzitutto, la produzione era, chiaramente, incapace di soddisfare la richiesta; poi, mancavano i presupposti commerciali. I più, prodotto un ciondolino, scomparivano portando con sé le competenze. Solo perché la richiesta era sempre maggiore si continuò a contrattare, ci fu chi preferì accumulare oggetti, prima di spendere qualcosa e partire, ritenendo di poterne usare in seguito. Invece, prima sorpresa: tutto ciò che si aveva all'imbarco era contabilizzato come pagamento, indipendentemente dalla quantità! Qualcuno decise allora di devolvere una quota alla collettività, provocando la nascita di uno Stato sociale in embrione, e dandomi l'occasione di organizzare qualche commercio. Altri sembrarono tanto gradire le attività da posticipare indefinitamente, o quasi, la partenza. In breve, ci trovammo strapieni di ninnoli sempre meno ricercati o utili. Si era però avviato un processo immane, inarrestabile: dare, con certe attività, uno sfogo a gente che fin qui si era persa nell'inedia della lunga attesa.

 

Ora, è chiaro, a me come a tutti qui, che non c'è alcun bisogno di ripari: la pioggia frequente sembra solo un ritrovato scenografico; i nuovi venuti, certo, se ne lasciano influenzare e permettono che peggiori il già cattivo umore, ma poi passa: smossi dall'ambiente, dal commercio, simile a quello abbandonato, si ravvivano (e anche questo modo di dire è forse inopportuno…) e in gran numero cercano di rendersi utili.

Così, quando mi organizzai per costruire un ricovero approssimativo, l'idea ebbe grande successo. Io avevo pensato giusto a uno spazio per esporre le migliori creazioni: chiunque fosse giunto, poteva farsi un'idea, curiosare e in questo modo svagarsi, diventando un cliente migliore. Pensavo, con ragione, di avviare scambi della produzione autoctona con eventuali arrivi e l'idea si rivelò efficace; i pezzi "d'importazione" erano ricercati, e per averne si produceva in quantità. Sarebbe bastato un solo edificio, ma no: la zona intorno all'attracco s'è riempita magicamente di costruzioni d'ogni tipo, con uno sviluppo tecnologico sorprendente. Non bastò ammucchiare pietra su pietra, tronco su tronco. Era arrivato qui un intero villaggio neolitico, per una sciagura che non avevano mai saputo raccontare, la loro lingua spazzata via con loro. Qualcuno scoprì una zona argillosa e questi, che con pietre e legno non se l'erano cavata gran che bene, si diedero a far mattoni e il loro umore, dopo millenni, migliorò parecchio. Approntarono delle slitte a trazione umana, usarono le fibre della scarsa vegetazione per fare corde, e in breve arrivò materiale di ottima qualità per soddisfare ogni capriccio edilizio. A parte i mattoni, che dire dei coppi, delle piastrelle? E vedeste l'inutilissimo vasellame con cui ognuno si riempiva la casa! I neolitici furono felici di approntarsi un delizioso abitato finché non riuscirono, lavorando per conto terzi, a procurare un numero di ninnoli sufficiente a pagare il trasporto a tutti loro in un solo colpo. Il villaggio è diventato l'ambiente di ricostruzioni storiche da parte di qualche archeologo sperimentale e da allora l'incarico è passato da un collega all'altro, dopo ogni partenza; ciò ha garantito una fornitura puntuale, anche quando la nostra tecnologia è potuta progredire, ma si sa: le antichità mantengono sempre il loro fascino.

 

S'era formata una folla enorme che finalmente trovava qualcosa da fare: figuratevi con che entusiasmo ognuno si mise a raccattare materiali per farsi una casetta. In poco tempo, si riempì tutto lo spazio disponibile intorno a quella che, nei miei piani, doveva diventare la zona portuale. C'erano ancora tanti in cerca di una sistemazione che li facesse sentire a loro agio e si cominciarono ad esplorare i dintorni. Sempre nuovi spazi venivano scoperti e quindi ricoperti di costruzioni che avrebbero dovuto riprodurre le forme a cui ciascuno era abituato.

Si era attivata una massa di costruttori edili e produttori di mattoni, raccoglitori di legname, lavoratori della pietra e artigiani delle decorazioni, generando a ondate un surplus di questo o quel prodotto. Io sguazzavo allegramente nel mercato, fiutando ogni affare che mi facesse acquisire, di volta in volta, i beni che un momento erano poco ricercati e subito dopo richiestissimi.

Ovviamente, ero io il proprietario delle aree migliori.

In questo mondo a rovescio, certe cose vanno al modo solito, e sono le complicazioni; come la città si estese oltre ogni confine visibile, queste si sono moltiplicate. Tanti esitano a sistemarsi in luoghi lontani dal porto (vedeste che bel porto, abbiamo costruito!). Pensano, con un po' di ragione, che sia meglio tenersi pronti alla partenza e cercano piuttosto se non si sia resa disponibile un'abitazione più vicina: qualcuno, alla fine, parte, e lascia libero un bugigattolo che subito acquista valore.

 

In tutta questa confusione, non mi ero scordato dell'obiettivo principale: aumentare i trasbordi. Forte dello sviluppo tecnico raggiunto, pensai che fosse giunto il momento di avviare una Rivoluzione Industriale in piena regola; non mancavano le competenze. Con la fame crescente di legname, pietre da costruzione, argilla, finanziai esplorazioni sempre più lontane, per scoprire che il mondo intorno era ben più ampio di quanto si credesse: quanta più gente arrivava, tanto maggiore lo spazio a disposizione. L'unica quantità immutabile sembrava quella dei tragitti compiuti. Ma nelle esplorazioni scoprimmo ricchezze insperate: il suolo era ricco, le alture rivelavano sempre maggiori disponibilità di rocce e minerali.

Come potrete immaginare, le esperienze commerciali mi avevano permesso di acquisire competenze minerarie e chimiche, avendo presto capito che queste non andavano interamente lasciate a studiosi senza alcun talento per gli affari, o a tecnici capaci solo di perfezionare le invenzioni note. No: serve l'ingegno di una persona capace di sentire, a fiuto, l'odore del progresso e degli affari nuovi. Diversificare per non annegare, mi ero sempre detto.

C'era dunque una quantità di esperti nella lavorazione delle pietre, ma finché non diedi il primo stimolo nessuno s'era mosso; molti sapevano costruire, ma dovetti io stimolare la creazione d'un mercato edilizio. Fui io a scoprire che molti, qui, avevano nostalgia del loro bel campo coltivato. Detto, fatto: si reperirono i terreni adatti ad avviare ogni coltivazione possibile. Per la semente, si cominciò sfruttando vecchi depositi votivi a cui nessuno più badava, o i rimasugli finiti nelle tasche, sotto le scarpe, finché qualche esperto in botanica, nelle sue esplorazioni, riportò una quantità di piante adatte. Quaggiù, tutto fruttificava; sembriamo, noi umani, gli unici a non dare frutto. Ma vedeste la varietà di coltivazioni! Generi alimentari che servono come pagamento del viaggio e sono richiesti per compiere una quantità di riti, da ogni luogo e tempo immaginabile: gente che per tutta la vita aveva ignorato le usanze religiose, trovava qui un fervore mai avuto.

 

Quando il progresso lo permise, diedi il colpo finale al mio progetto, da sottoporre finalmente al responsabile unico dei trasporti. Avevo avuto cura di metterlo di fronte al fatto compiuto: vicino al primitivo attracco tradizionale, mi ero permesso di spendere risorse per finanziare altre costruzioni; il primo battello a vapore era ad uno stadio avanzato; turni degli equipaggi stabiliti, perfino gli orari delle partenze, in questa landa senza tempo. Dovevo solo convincerlo che fosse lui, per la forza della sua volontà, a realizzarlo.

Credo di avere compiuto un miracolo di diplomazia con un discorso empatico, contemporaneamente pieno di concretezza e idealismo. Ho suscitato il suo orgoglio, perorando la necessità di smaltire le folle; ho manifestato ammirazione per il suo ruolo, comprensione per le sue difficoltà; infine ne ho titillato la vanità, convincendolo che fosse lui a ordinare i lavori.

Il tutto riuscendo in un'impresa che, a mia conoscenza, nessuno aveva mai nemmeno tentato: parlare; ma che dico: fare proposte; di più: contrattare faccia a faccia con il traghettatore in persona! Non fu facile, ma ho trovato ossi più duri. Dovevate vedere come bruciavano, i suoi occhi, mentre gli prospettavo l'idea di tanti traghetti che svolgevano il suo compito, dandogli l'occasione di comandare una vera flotta! Anche in un simile luogo perduto, l'ambizione aveva un peso.

 

Il varo del primo battello fu un evento memorabile, una cerimonia capace di emozionare quegli spiriti ancora abituati alla confusione del mondo, e di ridar vigore agli esangui.

Il traghettatore, con un sussiego speciale nell'accogliere i passeggeri, prendeva il dono cerimoniosamente, sembrava valutarlo e lo riponeva nel borsone, tenuto più in alto. Quindi salì al posto di comando, in faccia la nota espressione accigliata ma con un tono di orgoglio innegabile. Non ebbe difficoltà a compiere e ordinare le manovre necessarie all'avvio, ad un equipaggio composto di traghettandi dalle competenze necessarie. Ci furono quelli che preferirono avviare una carriera come navigatori, anziché approfittare di un breve lavoro a bordo per pagarsi il tragitto. Ciò avrebbe dovuto assicurare equipaggi a sufficienza per i battelli a venire.

Potevo mai prevedere il seguito? Io credevo, e tutti credevano con me, che la produzione locale potesse soddisfare la richiesta di un compenso, e che la disponibilità di posti avrebbe rapidamente svuotato quella che era ormai una vera città portuale di grande ampiezza. Partenze a ripetizione, sempre di più, ed era fatta. Peccato per gli affari, ma quando è troppo, è troppo, e lì c'era troppo ormai di ogni cosa.

Non avevamo immaginato che il Grande Ammiraglio, come s'era ribattezzato, rivendicasse l'esclusiva alla guida di qualsiasi imbarcazione! Non ci fu modo di far partire una nave senza di lui. Dopo le prime partenze, mentre lui stava viaggiando, fu inviato un altro battello verso la nebulosa destinazione là in fondo: tornarono disorientati, incapaci di ritrovare la rotta già seguita o di raccontarci quel che avevano visto. Quando l'Ammiraglio ritornò e lo scoprì, avemmo un assaggio della sua furia: disperse equipaggio e passeggeri e, con grida terribili, infierì sulla barca facendola in pezzi, poi si scatenò sul molo, quindi sulle strutture portuali e infine aggredì negozietti e abitazioni. Placato infine, salì su un'altra nave già preparata e, senza attendere la completa salita dei passeggeri, con ordini secchi e manovre brutali se ne ripartì per il buio laggiù. A chi avevamo fatto pagare, come da tradizione, il costo, si dovette rifondere il biglietto, per così dire; fu soprattutto per salvare il buon nome dell'impresa, anche se i prodotti effettivamente incassati erano finiti nell'acqua con gli altri rottami. Al ritorno, il bel tipo riprese le attività d'imbarco come se nulla fosse accaduto. Ogni volta scelse una nave diversa ma, pretendendo egli di ricevere direttamente l'obolo, non si poterono nemmeno accelerare le procedure d'imbarco fra una partenza e l'altra.

Insomma, un disastro.

Siccome, però, i disastri fanno parte della vita di un imprenditore, avevo fatto il callo. Trovai il modo di distrarre l'attenzione generale dalla mia valutazione errata, feci ricadere ogni responsabilità sulle inconoscibili volontà a fondamento del luogo, con bestemmie a commento da parte di alcuni. Se non potevamo aumentare il numero di battelli in viaggio, se ne poteva aumentare la portata. Avviammo perciò la costruzione di una nave più grande, ovviamente con l'approvazione del Comandante. Intanto, sfruttai la morbosa curiosità suscitata da quell'unico viaggio inconcludente per suggerire la riconversione dei traghetti in mezzi per l'esplorazione costiera, sfruttando un rovescio per avviare una nuova attività fiorente. C'è di che ridere: vennero fuori antichi Greci e Fenici, convinti di andare a fondar nuove colonie!

Ciò produsse almeno un effetto, proprio quel che si cercava mandando gente a costruire nuovi abitati: la pressione calò, si trovarono nuove attività e il modesto incremento delle partenze fu sufficiente soddisfazione.

 

Da allora, è stato un tumulto di iniziative e la situazione mi ha preso la mano. Questo posto assomiglia sempre più a un mondo che non ho potuto conoscere. Hanno introdotto la luce elettrica, abbiamo anche dispositivi di comunicazione e le nuove applicazioni si susseguono rapidamente. Ci sono testate giornalistiche, impegnate ad aggiornare i residenti su quanto accaduto "dopo", con informazioni di prima mano dagli ultimi arrivati. Questi, poi, sono desiderosi di introdurre tutte le invenzioni del loro tempo. Confesso di avere avuto i miei problemi, per adattare me e i miei affari a contingenze che mai avrei potuto prevedere, ma avevo un vantaggio di posizione difficilmente superabile.

Oggi sono proprietario di una catena di alberghi e di un patrimonio immobiliare sterminato, inoltre di una mirabolante collezione artistica con manufatti di ogni stile, e dirigo fabbriche per la produzione di ogni bene che la fantasia dei passeggeri suggerisca, pur con il limite di non avere potuto installare né un altoforno, né una fabbrica di qualche grandezza: trovo che le soluzioni escogitate sarebbero state positive anche laggiù, da dove si arriva. E poi godo dell'apprezzamento di popolazioni intere, alle quali ho restituito una permanenza conforme alle rispettive culture. Sono divenuto un promotore dell'Arte, incoraggiando la costituzione di Accademie e Conservatori; della Conoscenza, mediante studi che ricuperassero, dai residenti, nozioni indispensabili sulle loro passate civiltà: vedeste con quale entusiasmo, gli studiosi di qualche epoca interrogano i diretti interessati, per soddisfare curiosità su cui si erano arrovellati a lungo!

Io stesso son cambiato. Mi rendo conto di avere assunto abitudini e comportamenti in netto contrasto con la mia esperienza laggiù, prima di questo: ho incontrato tante genti mai, sperimentato tanti e tali costumi esotici, da faticare perfino a riconoscermi in ciò che ero. Mi è toccato anche veder transitare, una ad una, tutte le persone che conoscevo, fin le più giovani; avere accolto decrepite figure che nel mio ricordo erano bimbi paffuti. Negli occhi di ciascuno era il grave peso delle loro vite; alcuni cercarono una sistemazione, privi anch'essi del pedaggio, ma infine sono tutti andati.

 

Nonostante il progresso raggiunto in questa landa, infatti, ciascuno sente giunto, prima o poi, il momento di partire per la destinazione finale. Nessuna piacevolezza riesce a impedire che ritorni il languore tipico dei nuovi venuti, infine; nemmeno la vicinanza di persone già amate e già una volta perdute: madri salutano le figlie nuovamente; coniugi si separano, a malincuore ma decisi. Addii che avvengono con minor dispiacere, sapendosi più vicini alla meta.

 

Io pure potrei andarmene: con quello che ho, potrei pagarmi un viaggio di categoria extra lusso, ma credete che abbia mai compiuto un'azione senza un minimo di studio? Prima di ogni viaggio, mi sono assicurato sempre di trovare una collocazione adeguata e non mi sono mai mosso per affari senza averli ben preparati.

Quando intrapresi le mie attività miravo, principalmente, a non permettere che qualcuno agisse a dispetto dei miei interessi, mandandomi in qualche posto che non avrei gradito. Così, a furia di contrattare e blandire, ho strappato al pilota una concessione inaudita: potermi sincerare personalmente della sistemazione all'arrivo. Non vi dico la fatica: mi è toccato affrontare le sue ire, il tono scandalizzato, ho dovuto perfino mettere sul piatto la gratitudine che mi aspettavo per avergli tanto facilitato il compito.

Partii dunque, in mezzo a una folla di quelle che solo poco prima erano persone, e ora somigliavano più alle ombre degli Inferi mitologici. Restammo in un'oscurità impenetrabile per un tempo che non seppi misurare, fino alla destinazione, poi ci fu un silenzioso ritorno.

Che dire? Ho pensato che fosse meglio rimandare. Me l'aspettavo, ma la conferma mi ha fatto rizzare i capelli in testa. Per questo sopporto il tedio, tutto ormai noto; sopporto di dovere adeguarmi a nuove genti, nuove lingue e nuove scoperte; sopporto che qualche arrivato reclami ammodernamenti all'ambiente, senza saper di chiedere cose già passate di moda, là dove visse. Sopporto anche il languore anzidetto, sentirmi esangue oltre misura, preferendo la possibilità di un lento scomparire. In quante figure mi sono specchiato, fino a farmi venire la noia di com'ero! Al punto da non riconoscere miei, i tratti che vedo riprodotti in qualche nuovo arrivo, perché non solo le abitudini ho mutato: anche le emozioni si accordano su toni più sottili, i sentimenti sono espansi a vertigini nuove, i ragionamenti obbediscono a criteri mai pensati e l'anima distingue con più attenzione. Così trasformato, avrei condotto diversamente i miei anni. I tanti incontri, che mi sembrano ormai troppi, hanno comunque insinuato, in tutto ciò, dimensioni prima ignote.

Sempre più spesso, Caronte mi guarda come ad aspettare l'obolo, quasi a dire che qualcosa sia giunto a compimento. Ci sono volte in cui quegli occhi, verso di me, non hanno la solita fiamma violenta e danno l'impressione che mi voglia parlare, ma non esce parola a spiegarmi. Passa distrattamente una mano sulla sacca floscia, sembra quasi aprirla.

 

Gli impianti di illuminazione, qui, sono stati molte volte rinnovati, facendo raggiante un ampio spazio da questo lato ma senza raggiungere l'altra sponda. Dicono alcuni di intravvedere qualcosa di bello, pagano e s'avviano contenti; altri salgono rassegnati, l'espressione ormai spenta. Io punto lo sguardo, aguzzo la vista e qualche volta mi sembra che un pallore nuovo si profili, ma non so dire se sia vero o frutto di speranza.

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