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Era una notte buia...

Era una notte buia.
E tempestosa.
Il vento squassava quanto era rimasto abbastanza su da essere squassato, mentre la pioggia flagellava quanto s'era curvato per offrire un dorso alla flagellazione, mentre le folgori balenavano a impaurire ma non c'era più niente che potesse impaurirsi, perché cosa volete che rimanga allo scoperto, con un buio simile?
E con una simile tempesta.
Di tanto in tanto, un minaccioso franare aumentava lo sfacelo di colline martoriate, mentre montava il rombo da locomotiva di acque non più rattenute, ingurgitanti la rimanenza di cespugli sbriciolati e massi triturati e tronchi macinati, un pestello di giganti, mentre la terra sembrava rabbrividire ogni volta che la somma dei fenomeni, atmosferici e terrestri e marini coalizzati, raggiungeva un altro apice capace di confermare l'impossibilità di sopravvivenza ad ogni creatura sorpresa fuor di riparo, perché nulla sarebbe sopravvissuto là fuori, in tale buio.
E in tale tempesta.
A scontro di tre qualità acquoree, piovute dal cielo, fluenti dal monte e ondanti dal mare, nel pieno di quella che non si poteva più chiamare terraferma s'elevavano spruzzi, come scoppi di lapilli bagnati d'una vulcanica umida furia, quasi per annegare l'aria dal momento che nulla restava ancora da annegare, sul suolo immerso nel buio.
E nella tempesta.
Il cielo lanciava fulminei sguardi verso il basso, ogniqualvolta s'illuminava l'infinito abisso di tra le nubi sconvolte, come l'occhiaccio del muso di cielo volesse accertarsi del proprio buon lavoro, perché se non te le controlli da te, le cose non vanno mai come speri, soprattutto quando è buio.
E per giunta c'è tempesta.
Ebbene fu giusto in quella notte buia. Notte quanto mai tempestosa. Fu per tutta la durata dello sconquasso, dell'agitarsi di tutto l'agitevole, del franare di tutto il franabile, del fulminare di tutto il fulminevole; di patire su quel patibolo, sfrigolare sulla graticola, ribollire nel ribollore; e la piovaggine e il ventante e il mareggiare; e l'urlo e l'occhiataccia furibodia. Fu così che umani e bestie stettero, concordemente sigillati, a percepire il meno possibile dell'inumano, inanimale e perfino interreno fragore.
Fu, quella notte, d'ogni notte la meno memorevole, fu solo pallidamente rimembrevole e quantomeno velocissime scordevole. Insomma, non accadde nulla.
Ma proprio nulla, perché cosa volete che possa accadere, ogni umano sotto chiave, ogni anima rintanata? E come poteva essere altrimenti, con tutto quel buio?
E con quella tempesta, poi.

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