top of page

Un incontro

"Opperbacco..." disse piano Giuseppe. Non poteva lasciare senza commento quel che vedeva e l'urgenza d'un'esclamazione l'ebbe vinta sul ritegno che sentiva necessario, al cospetto del fenomeno.

L'esplosivo "Per la madosca!", quasi gridato da Uriele, parve infatti disturbarlo e per un attimo, il tempo necessario a che le parole cessassero di riprodursi in eco, sembrò che il fenomeno scemasse.

Subito, però, cioè appena il silenzio relativo della strada fu rifatto, la figura là in fondo riprese i contorcimenti impossibili in natura per cui erano state fatte le esclamazioni.

L'uomo, apparentemente indisturbato da ciò, si deformava stranamente: le gambe apparivano curvarsi, poi la curvatura era trasmessa su fino al bacino, interessava il tronco e giungeva a deformare la testa. Le braccia, intanto, sembravano di gelatina e si sfilavano, curvavano; si muovevano, pensò Giuseppe, come due serpenti un po' sonnacchiosi.

Uriele fece un passo avanti, poi ci ripensò e ne fece due all'indietro. Era tozzo, basso e un po' ingobbito dai lavori pesanti e dalla cattiva crescita; i suoi passi ciondolavano leggermente e in quei movimenti ricordò a Giuseppe le botti che quello spostava alla Vinicola, proprio facendole ciondolare.

A quel punto l'uomo, che ormai distava a malapena venti metri, cominciò a parlare:

"Voi là, che vi sta succedendo?"

Aveva la parlata di fuori e infatti i due non l'avevano mai visto: uno dei turisti alloggiati alla Cerchia Del Grano, di sicuro.

Giuseppe si risentì: del tono e dell'implicazione.

"Vorrei vedere te, al posto nostro!" pensò e rispose poi a voce alta come l'altro.

"Che c'hai, tipo?" aggiunse roco Uriele.

L'uomo sembrò esitare.

"C'è che una cosa simile non s'è mai vista. O che vi sembra normale, muoversi come foste fatti di gomma?"

Giuseppe si guardò, guardò Uriele.

"Noi stiamo bene. Sei tu che ondeggi."

L'uomo si guardò, avvicinandosi con passo incerto. Il moto amplificò l'effetto laterale e ancor di più il personaggio sembrò stirarsi da un lato all'altro. L'espressione sua, stupita sotto il casco, faceva della faccia deforme un mascherone ridicolo.

Anche Giuseppe e Uriele, entrambi lì per caso, s'avvicinarono dall'altra parte.

Erano passi lenti, quasi ritmati. Si sentiva il silenzio dominare i rumori che, a farci caso, erano tantissimi: i grilli che non la smettevano mai, nel torrido di quella fine di giugno troppo calorosa; il vento che rollava nelle orecchie un brontolio ronzante; le foglie secche dei pochi alberi rimasti; la felicemente lontana Provinciale, trafficata giorno e notte. E lo strisciar di scarpe timide sui ciottoli, quasi riluttanti a sollevarsi dal suolo e perdere così l'appiglio, in quel momento confuso.

Fatti pochi metri, l'effetto svanì. L'uomo tornava stabile come i corpi sono di solito, la sua espressione perse un po' dello stupore.

"Dev'essere stato qualcosa nell'aria. - disse lo sconosciuto - Siete di qui, voi due?"

Rispose Uriele.

"Certo, nati qui e cresciuti qui. Lei è un turista, vero?"
"Giampiero Santi, piacere. Cosa diamine è successo? Capita spesso?"
"Mai visto." fece Giuseppe.

"Siamo venuti qua in cerca di fresco, ma non ce n'è."

"Niente fresco, in pianura. - replicò Giuseppe, stupito da tanta ignoranza - Da queste parti, anche i grilli soffrono il caldo."

"Si deve andare là: alla collina." aggiunse Uriele, indicando, poco lontano, le curve ricoperte di vigna fino a metà, e di boschi più sopra.

I boschi erano punteggiati del marrone delle Case Nuove.

"I miei nonni parlavano di questo posto come di un paradiso di freschezza. Dice che scappavano dalla città a inizio agosto e tornavano alle prime piogge."

"Andiamocene dal sole. - intervenne Giuseppe - Andiamo là, al casone."

Si avviarono i tre, in fretta, alla costruzione presso la stradina: quello che era stato un fienile enorme e ora serviva da riparo a chi, per sua sfortuna, doveva passar di lì in momenti come quello, a un'ora abbondante dal tramonto col sole ancora fiammeggiante. Tutti e tre si tolsero gli occhiali, i guanti e il cappello.

"Ma che diamine era quell'effetto?" chiese Giampiero. Giuseppe intanto gli passava la bottiglia dell'energetico.

"È il gas." rispose Uriele.

"Gas? Non ce n'è di gas, qui."

"Sì che ce n'è. Viene dal suolo. È pieno di gas. Ci fa l'effetto delle allucinazioni."

Gli altri due si guardarono, senza saper che pensare. Uriele continuò.

"Mio zio diceva sempre che nella terra c'è un gas, che ce l'hanno messo per fare qualcosa alle coltivazioni. Ora, però, che non ci sono più le coltivazioni, il gas torna su, non trova le piante e va nell'aria. Però questo gas, non so cosa faceva alle piante, ma alle persone dà le allucinazioni. Questo io penso. Le avete appena viste, no? Mi pare di avere sentito qualcosa in televisione, un mese fa."

Stettero in silenzio, bevendo piano.

"Sta all'agriturismo?" chiese Giuseppe. Lo chiamavano tutti così, anche se da tempo si era convertito in rivendita dei prodotti idroponici. Ancora ospitava qualcuno, però: da loro era disponibile della carne accettabile, benché poca.

"No, ci siamo venuti a marzo, alla fine delle tormente. Bel posto. Ma ora abbiamo preso una casetta al bosco. Là è fresco davvero, mia moglie è felice della scelta, ma non credevo che giù fosse così. Ripeto: i miei nonni..."

"Però, fuori dalla macchina..." deplorò Uriele.

"Già, non era il caso. È che tutto sembrava pacifico e tranquillo. Ho voluto immergermi un po' nell'atmosfera campestre: quell'erba, che ha appena cominciato a schiarire; la strada sterrata... la prima che vedo in vita mia. - commentò sorridendo - Ma anche voi..."

"Io devo. - disse Uriele - Qui ci sono le chiuse del canale. Quando siamo come oggi, dobbiamo essere sicuri che siano aperte e non si può fare da remoto. Scendi e le guardi tutte."

"Io sono uscito dal camion perché ho visto voi due giù. Stavo semplicemente riposandomi prima di tornare a casa. Vedere due persone in giro è ormai un fatto strano."

Terminate le presentazioni, i tre stettero zitti per un po', finché Uriele non parlò di nuovo.

"Io bisogna che vada; ho ancora dieci chiuse, da guardare. Poi finisco anch'io per oggi."

"E mia moglie - disse Giampiero - si chiederà che fine ho fatto."

Si alzarono e, ormai di fretta, andarono ciascuno al proprio veicolo. Uriele per la strada piana costeggiante quello che ancora tutti chiamavano il canale; gli altri due, con velocità differenti, verso le fresche colline.

Giuseppe si domandò, oziosamente, qual fosse la casa di Giampiero. Erano sorte in fretta; le prime per gli ormai pochi residenti, le altre per turisti che, si riteneva, avrebbero prima o poi deciso di trasferirsi lì.

Il bosco ospitava i lavoratori della Vinicola e della Cerchia: ormai quasi le uniche attività della zona. La prima aveva sostituito la produzione di Nebbiolo col Passito, mentre le coltivazioni, ogni anno, venivano trapiantate più in su; la seconda si era convertita alla produzione idroponica e l'allevamento sperimentale a terra chiusa, quel metodo inventato da uno spagnolo per dare spazio agli animali in zone coperte. Gli entusiasti fautori dell'agricoltura sostenibile avevano dovuto quasi tutti abbandonare la zona per luoghi più favorevoli.

Giuseppe lasciò che lo sguardo scorresse, come al solito, sulle alture minori, a fare inventario dei luoghi. Là in basso il castello, là sotto le rovine dell'antico convento, là in fondo il paese non più abitato; e sopra le strutture della Vinicola. Sopra queste iniziavano le Case Nuove, nome ormai ufficiale dell'abitato. Infine rintracciò la sua, di casa. Non tra le Nuove ma ancora più addentro al bosco: quella che era stata la sistemazione scomoda di contadini finiti, non per scelta, a coltivare terreni scoscesi e lontani dagli altri, era diventata una invidiabile sistemazione.

Come arrivò ai primi tornanti, l'abitudine gli fece girare lo sguardo là dove era stato. Non una vera pianura, che iniziava lontano, ma un pianoro già elevato che preludeva alle altezze maggiori. Zone un tempo di transumanza estiva. Vide la solita nebbiolina dell'afa e pensò a Uriele e la sua teoria del gas; sembrava in effetti che l'aria fosse densa ma non servivano altre teorie oltre il fatto ben noto che lì, e nella conca seguente, certe correnti facevano accumulare l'inquinamento delle regioni intorno: ecco spiegato il gas di cui parlava. Sembrava, ora quasi al tramonto, di stare guardando un lago, le turbolenze dell'atmosfera a produrre deformazioni dell'immagine. La ragione per cui le stelle brillavano; la spiegazione dei miraggi nel deserto.

Era stato un miraggio, si disse. Un caldo eccessivo per quell'ultimo scampolo di torrida primavera a preannunciare un'estate di nuovi record termici. Non gli era mai successo, però, che l'aria fosse tanto densa, la convezione così intensa, da distorcere immagini a poche decine di metri.

Come il sole calò, si accesero mille lucine sul colle; i sobbalzi del camion le facevano danzare. Giuseppe amava quell'ora: il calore cambiava, si sentiva come se tutta l'aria volesse innalzarsi. Egli stesso s'innalzava, in un certo senso, mentre per un attimo il mondo s'acquietava facendogli godere quel luogo e la vita della campagna.

D'inverno ugualmente, sia nelle giornate di tormenta che in quelle di ghiaccio, il momento immediatamente successivo al tramonto sembrava scandire uno iato fra i disagi del giorno e i disagi della notte, un momento in cui la natura sembrava ricordarsi di mandare un saluto all'umanità.

Asciugò il sudore dalla fronte, calò il visore e, giunto a casa, sorrise.

bottom of page