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Chi sei?

Chi sei?
Aleggi così, in modo un po' triste, quasi temi di mostrarti, ma so che questo vuoi. Perciò sei qui, appena dietro l'angolo d'un occhio, a colorar di te quel sentire di soli in anteprima d'un inverno che già promette.
Una strada deserta, sei. Un solitario profumo, d'erba fra campi che non conosco; li conosci tu?
La nostalgia per case e vicende che tu sai. Chi sei?
Perché ti presenti, solitario fantasma, e che posso mai farci, con te? Vuoi che conosca una storia, che ascolti un rimpianto.
Ecco, rimpianto sei, di un domani troncato alla vigilia, quando non immaginavi l'avvenire.
Oppure un ritorno mancato e quelle immagini, i profumi, il ricordo di una memoria non mia, di una tua nostalgia.
Ma più ti penso, più devo inoltrarmi, a ritroso, per le circonvoluzioni che t'ospitano, e sono in me. E più ti considero, cercando a che somigliarti, tanto più devo far inventario di ricordi miei.
Per questo non ti so pensare intrusione, o strana apparizione di pensieri.
Ma intrusa sei, per quel sentire di un destino già compiuto, non soddisfacente.
Chi sei.
Un giorno di vita mancata, come il giorno dopo un funerale.
Una canzone che non ho mai cantato, simile ad altre che cantai. Questo vuoi dirmi? E svaniranno le canzoni mie, come le tue d'un tempo?
Ma perché t'immagino passata, immagine vaga; perché svanito, sentimento indefinito?
Per quel tuo sapere di sogno, come un'idea che non sboccia in parole, appena dietro la cortina di una notte insonne.
E sono altre giornate a ritrovarti, giorni avvenire, i cieli bianchissimi dell'afa di domani. A che devo tanto interesse per la luce, ti manca o ne sei colmo, o sfondo d'immagini note?
Chi sei. Come ricordare un volto decenni lontano, eventi di un tempo mio che mi è ormai indifferente. Così diverso io dal me di allora, che ogni fatto connesso è sì fantasma di altra vita.
Ma tu vieni da più lontano, d'oltre un mare e sotto un mare di coscienza sepolto.
Cerco, nei movimenti, un ché d'appartenenza ai tuoi, far veci di corpo assente per ritrovarti così, nei sussulti d'un arto, quale solevi nel prendere o lasciare, nel porgerti o negarti.
Ma tu, a questi tentativi svanisci. Perciò ti penso fantasma, senza corpo espresso.
C'è qualcosa da dirmi, o io lo voglio, per dirmi utile un divagare d'immaginazione?
Hai un messaggio, forse, un significato.
Anche un errore ne avrebbe, caveat che viene da oltre una nube inquietante: "Non farlo anche tu!". Mi pare alle volte sia così il tuo volto, di uno che vuole avvertire. E dopo averti sentita, presenza assente, mi giro a guardarmi da un pericolo presente.
Chi sei?
Un baratro che s'avvicina, che io non vedo ma altri, da altra superiore posizione.
Ecco tornare un'estate futura, quale tu vuoi che sia. Un compito da realizzare, a te ormai negato; o quel tentativo infantile che tutti si ha, certe volte, di ricreare le condizioni d'un tempo, il giorno dell'agosto presente come quello perduto, la sera di un settembre vicino come quella svanita.
Mi vuoi far simile a te? O da questo proteggermi?
Chi sei, immagine mia d'un altro ignoto.
Anima persa, delusione d'averla giocata per poco. E di quel gioco mi parli, con simboli casuali, direi.
O quel muro, di mattoni stranieri, luogo della sconfitta. Vi sorge contro lo scheletro d'un albero, lui che aspetta di rifiorire, con le sue trame a riportarne d'altre. Guardo il legno che dorme, tutto lì a raccontare una storia, e tu che ti racconti con sospiri.
In un pomeriggio e una notte ogni cosa finì. Ricapitoli stagioni più liete, di quando la strada sembrava l'unica giusta e tu l'unico giusto a percorrerla. E le perdite, ora, sono preannuncio del tunnel che imbucasti, ignaro, scambiando un falò per un sole nuovo.
Sei stata sorpresa da un tuono, anima bella invecchiata? Hai subito un oltraggio o te lo sei inferto, non sai dire?
Chi sei?
Non sai rinunciare a storie, di quando la pioggia non pesava su spalle baldanzose, di affetti e contrasti vissuti da eroi, perché certe vite sono protagoniste, e i tempi promettono troppo per non credere, e basterà svoltare all'angolo giusto per cambiare il mondo.
Tendere ogni nervo una volta ancora, non sapendo a che porti, ma fidando.
O gioventù vittoriosa, o esperienza nefasta, o sogno che non vuol finire.
Chi sei? Finisti così, sognando? Troppo rapido il moto da una posizione all'altra, e solo altri, che ormai tu non frequenti, saprebbe raccontarmi l'evento.
È la storia di una fine, allora.
Ma la ragione della tua presenza... perché io, perché tu a me? Tu arida gola di specchi frantumati, a non riconoscerti, e dovrei riconoscerti io. Tu tremito infinitesimale di atomi sbriciolati nel vento, che non ti si può ricostruire; come ricostruirò, io, la storia tua?
Ma scusa, parlar di te riporta al tuo rimpianto un vecchio dolore e ti fa nero lo sguardo, quel vuoto di occhi che non sono, incapaci di sfogare nel pianto l'anima in piena.
E diventi ferocia impotente.
Chi sei?
Vittima o carnefice di un te sprecato. Odio per un sé troppo amato, e giustamente, per questo perdente. Quanto dovette esser bello il tuo viso, colto nell'attimo sognante di una promessa sfumata, di quelle capaci di attrarre una bimba. Ma te ne accorgesti, e fu rovina.
Hai mai pregato? Hai mai creduto in una preghiera altrui? Forse a non crederci scegliesti una partenza, una durezza che ti fece sentire grande. E un orgoglio da ribadire ad oltranza.
Ma divago. Forse è solo un incidente, tu che mi dici la volontà di restare sulla strada che non prendesti, colpa d'uno pneumatico.
Una sosta in un bar, dal finestrone te che contempli un panorama sconosciuto, la volontà di far tuoi certi particolari. Forse ancora meno, una gita, una cartolina giunta in momento inadatto.
Chi sei? Scendo la via consueta e la comunico a te, vorrei portarti qui, a questa vacanza.
Mi sei vicinanza indiscreta, annoto particolari futili da rimandarti, ricompensa al sentire di te che mi doni. Vita per vita, rimpianto per rimpianto.
Come due fidanzati lontani, e ogni nuova esperienza che si vorrebbe comunicata. In altri tempi si faceva: una lunga lettera al giorno, buste piene di irrilevanza preziosa a ripetere d'esserci, l'uno per l'altra. Se ne faceva anche al telefono, le sere, conversazioni oziose ma guai se mancavano, prima che anche questo diventasse banale ripetizione.
Ti sei trovato un'anima gemella, di là dallo spazio-tempo.
Ma ora dico io di fermarmi, ché sto prevaricando. Certo, son tutti tuoi percorsi, simili ai miei, ma sto perdendo il nocciolo dell'esserci, di quella nube denucleata che sei.
Chi sei?
Neppure tu puoi darti risposta, perché il tuo essere è causa del tuo male, quel che non fosti mi richiedi.
Da me vuoi risposte, purché vada per una via diversa. Il tuo purgatorio è questo, di non poter commemorare se non quanto perduto, perché la storia vissuta è stata il tuo male.
Hai venduto l'anima in un pomeriggio e una notte, eppure quel mattino era stato né meglio né peggio d'ogni altro. Quanto è facile perdersi!
Così la tua mattina se ne andò, e qui la cerchi, nei soli che ancora mi scaldano.
Spogliata la tua persona d'ogni bravura, ogni talento scordato. Orfano di tutto te quel corpo, per averlo sprecato.
Io che me stesso perdo, a ripensarti! Mi fai forte di non volere la tua fine, debole nel pensarla. Vuoi portarmi con te, nel limo delle cose andate, o spingi per preservarmene, non so.
Un limbo t'avvolge, e sei nel tuo rimpianto. Così lontano mi sembro, d'un corpo che me ne scampa.
Ancora non t'ho capita, voce di segni e richiami, spettro d'analogie lontane, da indagare sognandole.
Avrei volentieri fatto per te quel segnale che t'è mancato, ma ora di nuovi segnali s'intesse il mio giorno, e tu fra questi; troppo leggero fra gli altri, e sono la mia vita.
Resta pure, chiunque tu sia. Guardami vivere.

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