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Carmelo

Carmelo non era razzista. Ci mancava altro. Suo padre gli aveva raccontato chissà quante volte come lo trattavano, appena arrivato a Milano: la prima parola appresa era stata "terùn".
Così, faceva doppia attenzione con Ahmed: nero come il carbone, si esprimeva a fatica, non conosceva ancora il lavoro e l'avevano affidato a Carmelo perché lo istruisse, visto che quello del muratore non è lavoro che si apprenda d'un tratto, ma fra il calabrese di Carmelo e l'africano di Ahmed c'era ben più differenza che fra suo padre e un milanese.
Cionondimeno, Carmelo s'era impegnato e riteneva soddisfacenti i risultati. "Prendi il mazzuolo" borbottava, aspettava pazientemente che l'altro pronunciasse un "Eh?" dei suoi soliti, allora Carmelo, con una calma che non si conosceva, scandiva bene la parola, dopodiché indicava l'oggetto o lo porgeva ad Ahmed. Questi si metteva a lavorare come da istruzioni e i due procedevano, fianco a fianco ma come fossero stati soli.
Carmelo aveva un caratteraccio come tutti in famiglia, conseguenza forse di una terra dura o di storie lontane ancor più dure. Quando, tempo prima, gli avevano affiancato un certo Nicola, un giovane rimasto sì e no cinque mesi, gli faceva una lavata di capo ad ogni occasione. Voleva che imparasse e per il suo bene lo spronava, affinché non rimanesse per sempre a fare il garzone.
Il capocantiere l'aveva preso in disparte, dopo due settimane. Gli aveva chiesto di non essere duro con il ragazzo, che ci rimaneva male. Gli aveva spiegato che, appena trasferito da Taranto, si sentiva a disagio con i nordici.
Carmelo aveva protestato: nordico lui? Eh, sì: uno nato a Milano, per Nicola era nordico. Era arrivato con molte idee prefabbricate su come ragionavano dalle loro parti e qualche conferma, da quando era giunto, l'aveva avuta; perciò che non lo facesse sentire in soggezione.
E così, Carmelo aveva capito di dovere a Nicola quello che i milanesi della generazione precedente dovevano a suo padre. Aveva da allora fatto attenzione a evitare critiche e adottato quel nuovo metodo: diceva una parola, mostrava l'oggetto, imitava il movimento, riducendo al minimo le parole, che sulla sua bocca suonavan sempre perentorie come ordini. Nicola guardava e faceva, mentre gli operai guardavano e sghignazzavano, perché Carmelo era stato ufficiosamente nominato la balia del cantiere. A quelli, l'idea di un collega che faceva il volontario delle Nazioni Unite metteva una sadica ilarità, e se per Nicola non avevano antipatia, però indirizzavano all'altro le loro sciocche battute.
Nicola se n'era tornato presto al paese; un lavoro più comodo. Giunto Ahmed, era stato ovviamente affidato alle cure di Carmelo; questi l'aveva accolto con un sorriso quale mai destinato nemmeno a sua madre. Lo spasso degli altri operai aveva raggiunto il vertice.
Ogni mattina, Carmelo cominciava la giornata con una breve pantomima del lavoro da fare, Ahmed osservava annuendo e poi entrambi si mettevano all'opera, muti e intenti.
Il pranzo era così: tutti gli operai in capannello a parlare di calcio, Carmelo da una parte e Ahmed vicino, ognuno a mangiare il suo. Ogni tanto Carmelo, accanito tifoso, si metteva a urlare contro la tifoseria avversa, come erano soliti farsi l'un l'altro tutto il giorno quando c'era da comunicar qualcosa. Ahmed taceva e ascoltava serio.
Una mattina Ahmed per sbaglio portò giù il carico che Carmelo aveva appena fatto salire. Sarà che faceva freddo, o che Carmelo ne aveva abbastanza di fare la "Madre Teresa" agli occhi degli altri; sta di fatto che sbottò: "Che accidente fai" aggiungendo, in un incontenuto sussulto vendicativo: "Bìgul d'un bìgul!". Ahmed aveva spalancato gli occhi e la bocca; con una prontezza insolita aveva mormorato: "Scusa!" e si era affrettato a rimediare l'errore.
Carmelo era rimasto paralizzato: prima per il dispiacere dello sfogo, nato dall'abitudine fin lì repressa; poi, perché l'insulto sembrava averlo messo dalla parte di tutti i pregiudizi che non aveva creduto di possedere; infine perché un operaio dappresso stava sogghignando come a dire: "Ti sei rotto, finalmente!".
Il giorno trascorse nel silenzio di sempre, ma Carmelo avrebbe voluto spezzarne il peso con delle scuse, quali non aveva mai fatto e non sapeva fare.
"Ecco, adesso questo qui penserà che sono un razzista come tutti gli altri." considerava, e a pranzo fu ancor meno conciliante su arbitraggi e rigori, mentre per il resto del tempo non poté impedirsi un ché di scostante nei modi anche rivolgendosi ad Ahmed.
La sera, come sempre, Carmelo si avviò verso il bar che, sul lato opposto della via, sembrava messo lì espressamente, in occasione di quei lavori, per attrarre tutte le maestranze. A metà strada si avvide di Ahmed davanti all'ingresso; per entrare doveva passargli davanti, ma non poteva cambiar direzione: sarebbe sembrato che volesse evitarlo e lui non voleva, anzi sì, però non perché... insomma, non poté che avvicinarglisi e notò allora che l'altro gli stava sorridendo.
"Bevi qualcosa?" disse Ahmed con quel suo vocione tondo.
"Grazie", rispose Carmelo, e non seppe aggiungere altro.
Carmelo trangugiò il solito bicchiere di rosso, Ahmed assaggiò un analcolico e riprese a parlare.
"Stamattina non avevo capito. E comunque grazie."
"Di che?"
"Che non sei razzista. Credevo che eri arrabbiato con me e che non mi parlavi per questo."
"Ma oggi ..."
"Eh sì. Oggi ho visto che mi tratti come fai con gli altri operai. Capisco perché mi hanno messo con te: perché tu non sei razzista."
Carmelo assaporò le consonanti strascicate del collega, poi si rivolse al barista: "Versa ancora, ché adesso tocca a me."
Bevvero, pagarono, uscirono insieme. Carmelo prese le sigarette e ne offerse una. Quegli la prese esitante, la accese impacciato e fumò come uno che non fuma quasi mai.
"Allora, a domani."
"A domani." rispose Ahmed.
Si allontanarono per le rispettive strade. Carmelo si girò e vide Ahmed spegnere la sigaretta e riporre la rimanenza. Aspirò con piacere dalla propria, pensò a Nicola, ai colleghi e sentì che gli veniva da ridere.
"Che cavolo, non ci s'indovina proprio mai!"
Proseguì, fischiettando una marcetta e sentendosi come un "casco blu" in libera uscita.

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